La recensione
Un delitto sconvolse l’Europa, e in particolare la Polonia, trentacinque anni fa: l’assassinio del sacerdote Jerzy Popiełuszko. Alla sua vicenda è dedicata la sua biografia, appena pubblicata dalle edizioni San Paolo (pp 263, euro 28, con apparato fotografico), ad opera di Cesare G. Zucconi, segretario generale della Comunità di Sant’Egidio. Nato nel 1947 con il nome di Alfons (che nel 1971 muterà in Jerzy, corrispondente all’italiano Giorgio), nel 1965 entra nel seminario di Varsavia, anziché in quello della sua circoscrizione ecclesiastica di Białystok, attirato dalla figura del cardinale Stefan Wyszyńki (che sarà beatificato nel giugno prossimo), il quale gli conferisce nel 1972 l’ordinazione presbiterale e spesso tuona contro lo Stato socialista che appare «una prigione organizzata» (p. 127). Come prime destinazioni è nominato viceparroco e il suo stile rispetto ai fedeli è questo: «Semplicemente sto con loro in ogni situazione. La gente viene, sa che casa mia è aperta per loro dalla mattina alla sera. Ogni giorno vengono tante persone che non necessariamente si aspettano un aiuto di carattere materiale. Vogliono dire qualcosa, piangere il loro dolore, parlare con gli altri dei loro problemi» (p. 90). Mentre il regime comunista mira a relegare la Chiesa alla sola dimensione di culto, c’è il rischio di arrivare «a confondere il concetto di religione con quello di nazionalità» (p. 37).
La svolta avviene nel 1978 con l’elezione al sommo pontificato del polacco Karol Wojtyła e la costituzione del sindacato Solidarność. Nel 1980 don Jerzy segue spiritualmente gli operai, per i quali organizza scuole serali e collette per pagare gli avvocati ai processi contro alcuni licenziati. Il nuovo primate Glemp cerca di non esasperare i rapporti con il governo nonostante le indubbie e fortissime tensioni, alimentate anche dalle omelie del sacerdote nelle “Messe per la patria”, cui partecipano migliaia di persone. Dopo averle preparate con cura per ore, le fa leggere agli operai, dicendo: «se capisce un operaio, allora anche un professore capisce» (p. 135) Tuttavia, queste prediche «non sono un’incitazione alla violenza politica o armata, ma un appello alle coscienze» (p. 145) in una sorta di resistenza interiore.
A partire dal 1982 si susseguono pedinamenti, intimidazioni, attentati, calunnie (con tritolo e dinamite fraudolentemente nascosti in casa sua per screditarlo) ai danni del presbitero, che pure gode del sostegno e della simpatia di san Giovanni Paolo II. Meno idilliaci i rapporti con il cardinale Glemp, dopo un incontro con il quale confesserà in lacrime: «Il servizio di sicurezza nell’interrogatorio ha avuto molto più rispetto per me» (p. 176). Successivamente l’arcivescovo cercherà di trasferirlo da Varsavia a Roma per perfezionare gli studi, così da evitargli ulteriori guai. Ma egli prosegue per la sua strada, nonostante la freddezza e a volte l’ostilità di alcuni presuli. In fondo, il «primate Glemp, che non ha la storia e l’autorevolezza del suo predecessore, si trova a gestire una situazione in bilico che potrebbe in ogni momento precipitare» (p. 180).
Si arriva al drammatico momento in cui l’auto del sacerdote viene fermata da finti poliziotti, che sequestrano lui e l’amico alla guida, che poi racconterà tutto dopo essere riuscito a fuggire gettandosi dall’auto in corsa. Anche il sacerdote riesce a uscire dal bagagliaio ma viene bastonato, imbavagliato e gettato in un fiume. Dopo una decina di giorni il corpo, quasi irriconoscibile, viene ripescato nel bacino della Vistola. Sabato 3 novembre le esequie vengono celebrate dal primate, da dieci vescovi e centinaia di presbiteri. Il Papa invia un calice. Si scoprirà che gli assassini sono funzionari del ministero degli interni, come sarà costretto ad ammettere lo stesso governo, che cercherà di dipingerli come mele marce e cani sciolti. La beatificazione come martire avviene a Varsavia solo nel 2010, anche per colpa di una «definizione “cappellano di Solidarność, frutto di una semplificazione mediatica, ha avallato una lettura solo politica dell’operato del giovane sacerdote» (p. 251). Il suo omicidio, in ogni caso, «ha avuto come conseguenza il rafforzamento dei fautori del dialogo a discapito dei dogmatici» (p. 252).
Fabrizio Casazza