La voce della scuola
«Hanno imparato subito che non devono prestarsi le matite e che non possono giocare con la palla. La socializzazione, che è uno degli insegnamenti fondamentali della scuola, è effettivamente un po’ carente. Ma i bambini sono resilienti, hanno trovato delle strategie, come giocare a “Ce l’hai!” toccandosi con il gomito». Paola Pasquali (nella foto qui sotto) ha 44 anni, è nata e vissuta ad Alessandria e conta 24 anni di onorato insegnamento alla scuola primaria. «Attualmente lavoro nella scuola “Villaggio Europa” che prende il nome dal quartiere. Abbiamo un grande cortile, che usiamo anche come laboratorio. Una parte di esso è stata adibita ad orto didattico e, grazie ai nonni ortolani, i bambini hanno potuto svolgere “sul campo” l’educazione alimentare. L’esperienza diretta e il rapporto con gli esperti esterni sono aspetti della didattica ai quali io e i miei colleghi teniamo molto (e che adesso è inevitabilmente un po’ carente, ndr)».
Paola, che cosa ti piace del tuo lavoro?
«Sono felice di avere a che fare con i bambini. Di queste “piccole persone” apprezzo in modo particolare l’assenza di filtri e il fatto che si propongono sempre per ciò che sono, con grande onestà e trasparenza. Tutti i miei cicli di insegnamento sono sempre stati un “rituffarmi” nel mondo guardandolo dai loro occhi: questo mi ha sempre affascinato».
Come vedi i tuoi alunni adesso?
«Parlando dei miei studenti di quarta elementare, devo dire che fondamentalmente sono rimasti uguali. Per descrivere le sensazioni che provo, questa metafora mi sembra calzante: mi sembrano come degli astronauti di rientro da una missione spaziale. Fanno un po’ fatica a camminare sulla terra, a vedere le persone in volto e non tramite un video, ad ascoltare i suoni e ad annusare gli odori. Abbiamo dovuto ripassare tutti quelli che erano i meccanismi dell’apprendimento (“Maestra, come scrivevamo la data sul quaderno? Mettevamo prima il giorno e poi il mese?”), hanno perso l’abitudine a scrivere bene. Ma la forza di gravità continua a esserci, abbiamo ingranato di nuovo. Per le prime il discorso è diverso: il primo approccio alla scuola sicuramente è stato più complicato».
In questo momento con i bambini riesci a fare un percorso di crescita?
«Prima quando uscivamo in cortile, giocavamo con le palle di spugna. I primi giorni di questa “nuova era” erano un po’ disorientati dall’assenza di quei giochi ma ora se la cavano con “Strega comanda colore”. Spesso chiedo a loro: “Bambini, come possiamo cavarcela?”, perché loro trovano sempre delle soluzioni a cui io non avevo pensato. Loro, più degli adulti, hanno un grande spirito di adattamento: una volta capita la regola (“Quando mi muovo, metto la mascherina”) lo fanno senza discutere, non sono riottosi come noi grandi. Rispetto al lavoro in classe, mi sto inventando delle strategie per coinvolgerli di più. Prima durante l’ora di matematica facevo passare dei giochi aritmetici in legno di mano in mano e durante la lezione di scienze gli esperimenti venivano fatti proprio dagli alunni, a gruppetti: uno di loro aveva carta e penna e registrava le osservazioni di tutti, poi le si esponeva alla classe. Era la scuola per cui avevo studiato, con l’insegnante come “direttore d’orchestra” e i bambini protagonisti».
E adesso che soluzioni hai trovato?
«Ora faccio il possibile con le lezioni frontali. Con la Dad abbiamo imparato a usare di più i video. Per esempio, recentemente abbiamo visto un cartone molto bello sulla vita di Galileo Galilei: provo a variare molteplici stimoli. Per “reggere” la giornata poi, cerco di usare anche l’ironia nel modo giusto. Un alunno di una collega si era scordato di lavarsi le mani di rientro dal bagno e ha esclamato “Uffa questo Cornavirus!”: lo cito sempre per far ridere i bambini».
Come insegnante che consigli daresti ai genitori per aiutare i bambini in questo delicato periodo?
«Il primo consiglio è quello di vivere la quotidianità con naturalezza, senza fargli capire che le regole che dobbiamo osservare ci pesano: “Ci sono queste cose da fare per stare bene, lo facciamo punto e fine”. Suggerisco poi di lasciare spazi di fantasia e libertà quando rientrano a casa e quando giocano con loro: per esempio, se si vogliono inventare delle regole di un gioco in scatola lasciatevi condurre, date a loro la possibilità di riscrivere le regole. Una delle principali difficoltà dei bambini è stata quella di non poter invitare gli amici a casa: cercate quindi di mantenere la socialità per quanto possibile e consentito, perché per i piccoli la crescita avviene anche e soprattutto attraverso lo scambio con i coetanei. Da ultimo, ma non meno importante, attenzione alla tecnologia: anche se siete stonati, cantategli voi delle canzoni e non lasciate che lo faccia YouTube. Cellulari e tablet aiutano nella didattica a distanza, ma se siete a casa con i vostri figli e dovete vedere un video, stabilite un tempo (limitato), ogni tanto fermatelo e commentatelo insieme, non lasciate che sia una fruizione totalmente passiva».
Creatività, coraggio e testimonianza
«In questo momento storico, quello che chiedo al Signore per i bambini è che possano trovare degli adulti che non li spaventino e non li soffochino nelle procedure ma che riescano a restituire loro la bellezza della vita». Angelo Teruzzi, 74 anni portati splendidamente, è il direttore del Servizio per la pastorale scolastica e l’insegnamento della Religione Cattolica».
Professore, partiamo dalle basi: cosa fa il vostro ufficio?
«In estrema sintesi, l’Ufficio scuola si occupa di tutto ciò che riguarda l’insegnamento della religione, mentre la Pastorale Scolastica assieme alla Pastorale Giovanile cerca di avere uno sguardo più ampio: che cosa si può fare perché i giovani possano incontrare una esperienza significativa di Chiesa?».
Ci fai qualche esempio di iniziative che avete organizzato?
«Uno dei compiti del nostro ufficio è quello di curare la formazione permanente degli insegnanti di religione, quindi ogni anno organizziamo un corso di aggiornamento. L’anno scorso l’abbiamo terminato sulla piattaforma Zoom, quest’anno siamo in attesa di capire come procedere. Come Pastorale Scolastica, ogni anno facciamo delle proposte alle scuole».
Quali sono quelle più apprezzate?
«Quelle che hanno avuto più successo sono state due. La prima è stata l’organizzazione di viaggi di istruzione proposti dalla Diocesi agli studenti delle superiori: in quattro anni, dal 2015 al 2018, abbiamo toccato luoghi come Roma, Assisi, Venezia e Padova. Gli studenti sono stati colpiti dall’avere in gita con loro anche il Vescovo e dai momenti di visita guidata, molto curati. Ad esempio, abbiamo visitato la Cappella degli Scrovegni con la guida del professor Filippetti. L’altra iniziativa portata avanti in questi anni è stata quella riguardante i percorsi di alternanza scuola-lavoro: l’ultimo di questi era incentrato sulla presentazione della mostra “Van Gogh: un grande fuoco nel cuore” che si sarebbe dovuta tenere ad ottobre. Stiamo valutando come concludere questo percorso in modo diverso, proponendo la produzione di un video, anziché la mostra».
Che consigli darebbe ad un insegnante di religione della scuola primaria?
«Mi ha colpito la modalità di un insegnante di religione che in classe cantava, suonava e recitava monologhi tratti dalle vite dei santi. Lui era particolarmente istrionico, ma la possibilità di far imparare canzoncine o di insegnare ai bambini a costruire un Presepe con i materiali di recupero è alla portata di tutti. Nel proporre ai piccoli alunni questo lavoretto, fate vedere loro delle immagini di allestimenti tradizionali ma anche immagini di come è la Terrasanta oggi, di come si presentano Betlemme e Gerusalemme nel 2020. Lasciate che i giovani artisti rielaborino i vostri stimoli. A questa età apprendono quello che vedono e ciò che sperimentano».
Speciale a cura di Zelia Pastore
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