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La sfida del Curriculum vitae

La voce del lavoro

Formato Europeo si o no? E la foto la inserisco? Ma devo firmarlo? E se metto gli hobby devo dire per forza lettura e running o posso scrivere pesca subacquea e collezionismo di birre artigianali? Oggi tante, troppe persone si trovano a casa senza un lavoro e uno dei principali stratagemmi per uscire da questa condizione è confezionare un curriculum vitae da inviare alle aziende che riesca a far breccia nel cuore dei selezionatori. Ma come impostarlo al meglio? Abbiamo chiesto aiuto a Gian Marco Mandrini, 60 anni, consulente e formatore Osm (Open source management), una società che opera nel campo della consulenza aziendale e della formazione e selezione del personale: la sede è a Bologna ma lui opera tra Alessandria e Asti. Lo abbiamo conosciuto nel numero 34 di Voce: è infatti un ex studente del Collegio Santa Chiara di Alessandria.

Mandrini, partiamo dalle basi. Che formato conviene utilizzare?
«Secondo l’esperienza che ho maturato in Osm, a noi e ai nostri clienti (principalmente imprenditori) l’85% dei curriculum che vengono inviati sono in formato Europeo, un modello che chiunque è in grado di scaricare da Internet. Il restante 15% ha un’impaginazione originale e un’organizzazione degli spazi dettata dal senso estetico e dall’estro del singolo. Ora, se in una stanza ho 85 persone vestite di nero e 15 di arancione, chi secondo voi sarà in grado di catturare il mio sguardo più velocemente? L’attenzione viene solitamente intercettata da quello che non è standard: in questo periodo, l’esigenza di essere visibili è ancora più forte che in precedenza».

Foto si o foto no?
«Conviene metterla sempre. Se devo selezionare un candidato voglio vedere che faccia ha, soprattutto se sto cercando qualcuno da mettere in relazione con il pubblico o la mia clientela. La fotografia da scegliere deve ritrarre la persona al meglio delle sue possibilità ma sconsiglio caldamente l’utilizzo di Photoshop et similia. In sintesi, inserite un’immagine fatta bene ma non artefatta».

Va firmato in fondo?
«Assolutamente sì. Mostrare la propria calligrafia è un ulteriore elemento di riconoscimento e di particolarizzazione».

Passiamo alla stesura del testo: quali sono i punti da inserire inderogabilmente?
«Nelle prime righe va posizionato un “chi sono”, inserendoci un minimo di creatività. Per dare un’idea pratica, la breve biografia che troviamo social è un buon punto di partenza. Segue un “che cosa faccio”, dove si può mettere la propria qualifica professionale, “quello che ho già fatto”, dove includere i titoli di studio e le esperienze pregresse. Non va poi trascurata l’ultima parte, ovvero il “che cosa vorrei fare, perché vorrei lavorare con voi”. Giova ricordare che non bisogna essere eccessivamente prolissi: l’attenzione cala dopo il minuto e mezzo di lettura. Per questo motivo consiglio di contenere il tutto entro i limiti di una pagina di word. Nello stendere il testo, valgono i criteri sopra enunciati per la foto “ben fatto ma non artefatto”: va inserita tutta la realtà, ovvero esattamente le esperienze che si sono fatte e le certificazioni linguistiche corrette. Sembrerà banale, ma è inutile millantare di sapere una lingua se poi non è vero, perché in fase di selezione si viene scoperti subito (e di conseguenza scartati)».

C’è qualche elemento che potrebbe fare la differenza?
«Un consiglio che do sempre a chi si rivolge a me è quello di inserire “quello che vorrei fare” anche a livello di “che formazione penso di aver bisogno”. Facciamo un esempio pratico: un neolaureato in architettura potrebbe scrivere: “La mia tesi è stata tutta dedicata alle tensostrutture. Vedo che la vostra azienda se ne occupa e per me sarebbe estremamente formativo poter passare dalla teoria alla pratica, lavorando al vostro fianco”. Oppure chi ha già esperienza lavorativa potrebbe provare questo approccio: “Io ho sempre venduto materiale elettrico. So che nella vostra azienda vi occupate della vendita di servizi: vorrei poter mettere in campo le mie competenze pregresse e formarmi in una nuova area”. La sincerità è sempre apprezzata e crea feeling: stesso discorso vale per l’apertura e la disponibilità all’apprendimento».

Altri consigli pratici da tenere presenti?
«Facciamo una premessa importante: il lavoro di cercare lavoro è complesso. Per questo va fatto nel modo giusto. Non serve a nulla mandare curriculum a pioggia: bisogna studiare l’azienda a cui ci stiamo rivolgendo, sia per poter essere più efficaci in fase di colloquio sia per una questione di tutela personale. Infatti se la società da cui stiamo per essere assunti o con cui siamo in trattativa è in concordato preventivo o ha altri problemi legali, potrebbe non pagare lo stipendio. Il risultato è che si è perso tempo a fare il colloquio e il primo periodo di lavoro e si deve poi ricominciare da capo».

Una fede vissuta “sulla strada”

«Il Vangelo di Gesù è la Parola fatta carne e questa ha a che fare con tutto ciò che è autenticamente umano. E non sono forse il lavoro e i rapporti sociali questioni che toccano da vicino la quotidianità di ciascuno di noi?». Esiste un ufficio nella nostra Diocesi che sta accanto ai lavoratori e se ne prende cura: Roberto Massaro, 56 anni, impiegato alla Guala Closures Spa e direttore della Pastorale Sociale e del Lavoro, ci racconta con che spirito affrontano le difficoltà che stiamo attraversando nel mondo dell’impiego. «La logica che anima la nostra opera all’interno dell’ufficio non è quella di chi possiede ricette pronte per ogni problema, ma quella di chi cerca di porsi al servizio dell’uomo, partendo dall’ascoltarne fatiche e speranze. Prima di attuare politiche di intervento, vuole essere un segno di attenzione della comunità cristiana e del suo Vescovo nei confronti di quanto agita il cuore dell’uomo».

Ci racconta come state concretamente accanto a chi lavora?
«Non possiamo sovrapporci alle attività proprie dei sindacati e delle associazioni di categoria, né possiamo diventare un’agenzia di collocamento. Possiamo dire che il primo compito della Pastorale Sociale e del Lavoro è quello formativo: cerchiamo di far entrare in contatto le realtà ecclesiali, gli operatori socio-economici e le singole persone con le ricchezze della Dottrina Sociale della Chiesa. Un’iniziativa concreta, giunta alla fine del secondo anno, è l’esperienza del progetto Policoro che abbiamo sviluppato insieme alla Caritas e alla Pastorale Giovanile. Il nostro animatore di comunità, Giorgio Ferrazzi, mentre prosegue il suo cammino di formazione è impegnato a costruire una rete territoriale di relazioni incentrata su tre punti: “Giovani, Vangelo, Lavoro”».

Dal suo osservatorio, come giudica la situazione contingente?
«Nel post-lockdown abbiamo registrato un aumento delle criticità. I ritardi nell’erogazione della cassa integrazione e la perdita di lavoro hanno fatto emergere una forte richiesta di aiuto. In questo momento la situazione è ancora critica. Anche se le attività sono ripartite, non possiamo negare un disagio diffuso in tutti i comparti: commercio, artigianato, piccola e media industria in particolare. È difficile immaginare che cosa accadrà questo autunno: possiamo auspicare che le scelte che verranno prese sia a livello nazionale che in ambito europeo riescano a offrire validi ammortizzatori e ad attutire il disastro lavorativo in corso. Questa crisi ha bisogno di essere “accompagnata”: io penso che questo compito spetti anche alla Chiesa».

Per cosa prega lei?
«Chiedo che il Signore mi conceda la grazia di vivere la mia esperienza cristiana sempre più sulla strada e meno nel tempio. Gesù fa sulla strada, mentre è in cammino, gli incontri più significativi. Sulla strada s’impara, si ascolta, si dialoga, si rischia ma si cresce. Sono quelli che noi giudichiamo perduti o irregolari o esclusi secondo i nostri parametri standard che mi stimolano a crescere come uomo e come cristiano, più di molte prediche».

Speciale a cura di Zelia Pastore

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