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Perché gli abitanti si preoccupano?

Impianto Biogas A valmadonna

Lodovico Como (nella foto di copertina) è «un fortunato abitante di Valmadonna», dove vive con la moglie e i due figli. Anche lui era tra gli abitanti scesi in strada Porcellana (nella foto presa dal gruppo Facebook “No-biogas Valmadonna”), vicino all’area che potrebbe ospitare l’impianto Biogas, venerdì 26 febbraio per ribadire il “no” al progetto della Rgp Biometano. Lo abbiamo intervistato a pochi giorni dalla Conferenza dei servizi, fissata per giovedì 11 marzo, dove verranno esaminati documenti e studi alla presenza di cittadini e comitati.

Lodovico, come avete reagito alla notizia del Biogas?

«Abbiamo risposto attivandoci per cercare ulteriori informazioni. Per questo sono debitore in primis a chi ha dato vita al Comitato. Questa è un’occasione per mettere a fuoco alcune criticità del territorio, raccogliere dati, scoprire opportunità. Stiamo re-imparando, soprattutto noi che abitiamo qui da poco, a prendercene cura. Ma il vero cambiamento si produce modificando il nostro rapporto con l’ambiente non solo in situazioni di emergenza come questa».

Questo discorso vale soltanto per gli abitanti di quella frazione?

«Si potrebbe dire: “Lo faccio per casa mia, per tutelare la mia proprietà”. Ma il territorio è un bene a disposizione di tutti. Uno dei problemi del nostro Paese, poi, è la puntualità e la certezza del controllo su opere di questo genere, anche recentemente i giornali riportano notizie preoccupanti. Quindi la mobilitazione non riguarda solo Valmadonna, ma più in generale gli standard di trasparenza, partecipazione dei cittadini e tutela ambientale, e spesso anche della salute. Perché non ci sono cittadini di Serie A e di Serie B».

Ma “spaventa” anche altro.

«Sì, non è solo questione di puzza. Serve tutelare quello che sta sopra il terreno, ma anche quello che c’è sotto. Il progetto della Rgp si collocherebbe tra due piccoli corsi d’acqua che sfociano in rio Loreto: in caso di incidenti e dispersioni cosa accadrebbe? Poi c’è il traffico: la Provincia di Alessandria conta quasi 4 milioni di veicoli all’anno tra Alessandria e Valenza, tra i 10 e i 15.000 al giorno. Aggiungete il traffico pesante generato dall’impianto, su strade senza banchine laterali, già molto trafficate, con ulteriore inquinamento e rischi per la sicurezza stradale. Siamo poco distanti da un centro medico riabilitativo di eccellenza come il Borsalino, l’ospedale e la Chiesa di Gardella sono uno dei luoghi del cuore del Fai, e noi costruiamo una “cattedrale” che lavora reflui e scarti? Questo la dice lunga sulla mancanza di programmazione. Nessuno di noi si sogna di mettere in dubbio la libertà di impresa, ma spetta alla politica, a chi fa pianificazione territoriale, indicare quali sono le condizioni perché l’impresa non entri in conflitto con il bene comune».

Cosa cambiare concretamente?

«Serve consapevolezza, perché questo modello economico sta iniziando a mostrare limiti e contraddizioni. Produciamo cibo per produrre gas per auto. Mangiamo male e troppo, esponendoci a varie patologie. Sappiamo che la prevenzione e l’adozione di stili di vita più corretti sono una strategia lungimirante. Dopo la consapevolezza servono, quindi, azioni concrete. Alla manifestazione in molti ci siamo recati a piedi e in bici, per impattare il meno possibile. Un piccolo gesto, ma cosa succederebbe se ci recassimo in città con meno mezzi privati, o alternativi? Gioverebbe anche alla salute dei cittadini di Alessandria. O se immaginassimo il nostro territorio agricolo con una vocazione economica turistico-ricreativa? Serve trovare delle giuste soluzioni vantaggiose per l’economia locale, per l’ambiente, per le finanze personali. Non è semplice, ma è generativo, passate il termine».

Cosa chiedi alle istituzioni?

«Mi aspetto verifiche precise, puntuali e approfondite a tutela dell’interesse collettivo: la richiesta di autorizzazione infatti è un’istanza di parte. Spetta agli enti preposti effettuare le verifiche preventive che i cittadini non possono effettuare autonomamente. Mi interrogo, per esempio, sui conferitori: alcuni collocati a 40, altri addirittura a 110 chilometri. Ha senso? È davvero “sostenibile” tutto ciò?».

Alessandro Venticinque

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