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Neurochirurgia dell’Ospedale un riferimento in Piemonte

Andrea Barbanera, da 11 anni ad Alessandria

Pacato, concreto, diretto. E soddisfatto. Perché il nuovo ruolo «è parecchio impegnativo», ma sta dando «davvero molte soddisfazioni», e soprattutto «ha permesso di sviluppare e consolidare il rapporto con gli altri colleghi che è alla base di una collaborazione che deve essere davvero a trecentosessanta gradi».

Andrea Barbanera (nella foto di copertina), da 11 anni ad Alessandria, guida la Neurochirurgia dell’azienda ospedaliera, una struttura da circa novecento interventi all’anno, tutti di alta specialità e punto di riferimento extraregionale per l’attività cranica e della colonna vertebrale. Ed è il direttore del Dipartimento chirurgico che comprende le specialità di chirurgia diurna e ambulatoriale multidisciplinare aziendale, chirurgia generale, cardiochirurgia, chirurgia toracica, chirurgia vascolare, neurochirurgia, urologia, chirurgia plastica e ricostruttiva, oculistica, ortopedia e traumatologia, otorino-laringoiatria, strutture in cui vengono svolti, in media, dai dieci ai quindicimila interventi all’anno. Da alcuni mesi ha assunto le redini di un Dipartimento complesso nell’articolazione, però dalle grandi potenzialità perché affianca alle “specialità” il fronte della ricerca e una stretta connessione con il mondo dell’università.

«Il primo bilancio è positivo, c’è ottima collaborazione con i colleghi, la fase pandemica è stata meno drammatica dal punto di vista sanitario e ci ha consentito di continuare a lavorare e adesso siamo di fronte a un importante stimolo di ripresa. Potrei definirla – aggiunge Barbanera – una vera ripartenza». Il Dipartimento chirurgico è un asset strategico che grazie alla gestione corale consente di mettere a punto una organizzazione che determina non solo una ottimizzazione delle risorse e delle strutture, a partire dalle sale operatorie, ma si traduce in sempre migliori condizioni di cura e gestione dei pazienti. E questo ruolo, per Barbanera, significa parecchio tempo da dedicare a un’attività inedita per il professionista.

Ma senza dimenticare la Neurochirurgia. «Assolutamente. L’intera squadra, dai chirurghi (otto più il direttore della Struttura, ndr) al personale infermieristico, è quella che mi consente di dedicare una parte del tempo all’incarico dipartimentale, mentre qui l’attività prosegue, anzi sta crescendo. Nel periodo di maggiore crisi pandemica abbiamo registrato una diminuzione di circa il cinquanta per cento degli interventi, però adesso siamo attestati già all’ottanta percento. È una delle neurochirurgie di riferimento di tutto il Piemonte, mentre abbiamo ripreso le attività di consulenza e ambulatoriali con le strutture ospedaliere di Asti, Casale Monferrato e Novi Ligure. Stiamo proseguendo – aggiunge Barbanera – con l’implementazione tecnologica. La tac intraoperatoria consente di eseguire interventi tecnici più elevati con un altissimo livello di sicurezza, oltre che per l’uso routinario. Per le nuove dotazioni stiamo ragionando ad acquisizioni come Dipartimento chirurgico. Questa modalità consente di ottimizzare le risorse, puntando su tecnologie avanzate utilizzabili per più specialità. Per esempio, è il caso dell’esoscopio, di cui stiamo ragionando in questo periodo. Sarà una rivoluzione digitale perché consente una visione a tre dimensioni, senza perdita di risoluzione. Viene utilizzato in neurochirurgia come in altre specialità».

La ricerca (fa capo al Dipartimento attività integrate ricerca innovazione, diretto da Antonio Maconi) gioca poi un ruolo fondamentale. E un esempio arriva dalla Unit disease di Neuroscienze che «combina in pieno l’attività clinica e quella scientifica operando in un ambito di multidisciplinarietà». Barbanera la definisce «come un dipartimento a costo zero e funzionale per gli specialisti e per la ricerca» che nel 2020 (anno della pandemia) ha prodotto ventisei pubblicazioni impattanti e sei studi clinici.

Nei primi tre mesi del 2021 vi sono state tredici pubblicazioni e uno studio clinico. Il direttore di Neurochirurgia guarda con fiducia alla sfida dell’università, da vivere «come una occasione di sviluppo», e al percorso che porterà all’Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico) per le patologie ambientali e mesotelioma. «Sarà – afferma – un salto di qualità incredibile, che determinerà oltre alle ricadute economiche, lo sviluppo di innovativi progetti di ricerca, oltre che di immagine per l’azienda. Ma sopra a ogni cosa c’è il fatto che la ricerca di permette di curare sempre meglio, dando un servizio davvero globale al paziente».

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