Speciale “50 anni di Maria Nivis”
Agostino Pietrasanta
Professor Pietrasanta, il 25 luglio del 1971 veniva inaugurata la Casa “Maria Nivis” di Torgnon, frutto del lavoro e della fede di tanti alessandrini appartenenti all’Azione Cattolica di quegli anni. Chiedo a lei, che allora ne era il Presidente diocesano: com’era l’AC in quell’epoca, sia a livello locale sia a livello nazionale?
«Teniamo conto che si veniva da una tradizione riconosciuta all’interno della Chiesa. L’Azione Cattolica, soprattutto nei suoi movimenti intellettuali come la Fuci e i laureati cattolici, aveva formato la classe dirigente che era al governo del Paese. E, su indicazione del Papa, aveva contribuito collaborando con i vescovi e i sacerdoti alla crescita spirituale e alla formazione morale e sociale di intere generazioni. In quel momento l’AC si rendeva conto che doveva prendere un’iniziativa di responsabilità diretta, pur se in obbedienza consapevole alla gerarchia. A livello nazionale, basterebbe ricordare le grandi adunate attorno a Pio XII, papa Giovanni e Paolo VI; a livello locale, la collaborazione con i vescovi che si sono succeduti, da monsignor Gagnor a monsignor Almici».
Quelli della “Maria Nivis” erano gli anni successivi al Concilio ecumenico Vaticano II, iniziato nel 1962 da papa Giovanni XXIII e concluso nel 1965 sotto il pontificato di Paolo VI (entrambi proclamati santi). Possiamo dire che la Casa di Torgnon è stata uno dei “frutti” del Concilio, grazie alla novità di una corresponsabilità affidata ai laici?
«Il Concilio ha marcato una discontinuità nell’impegno del laicato credente organizzato, perché i documenti predisposti e votati dall’assemblea hanno chiamato i laici a una nuova responsabilità. Il mandato all’evangelizzazione anche per i laici non era più condizionato dalle decisioni della gerarchia, ma dalla comune appartenenza alla Chiesa in virtù del sacramento battesimale. In particolare, si dava al laicato una specifica responsabilità nell’ordine temporale, cioè di formazione e partecipazione alla politica, ma anche una collaborazione alla catechesi proposta dai pastori. La “Maria Nivis” nasce dunque come uno degli strumenti di comunione e di impegno formativo, e come tale svolgerà (e tuttora svolge) un compito insostituibile. Tale compito non può assolutamente essere confuso con una esclusiva attività di riposo e di festa. La Casa di Torgnon è stata davvero un frutto del Concilio».
Nel 1974 la Chiesa post-conciliare sostenne il referendum per l’abrogazione della legge sul divorzio, perdendo la battaglia. Nel 1981, con il referendum sull’aborto, la sconfitta fu ancora più cocente. In entrambi i casi i cattolici si ritrovarono divisi e, in molti casi, anche “critici” rispetto alle gerarchie ecclesiastiche. Che cosa stava cambiando nella società italiana?
«L’iniziativa referendaria del 1974 va ascritta non alla gerarchia ma a un gruppo di laici che, come cittadini preoccupati della tenuta della famiglia e delle conseguenze dirette e indirette sulla tenuta sociale del Paese, temevano le conseguenze di una legislazione divorzista. Questo atteggiamento voleva coinvolgere tutta la comunità nazionale, senza creare separazioni tra la società civile e la Chiesa, che appoggiava questa prospettiva di intervento. I dubbi all’interno del mondo cattolico provenivano da gruppi minoritari ma particolarmente motivati, i quali optavano per l’indissolubilità su basi evangeliche che non andava a obbligare il non credente. Altri temevano il referendum perché, convinti del processo di scristianizzazione in atto, prevedevano una sicura sconfitta che avrebbe potuto anche dividere le diverse componenti della Chiesa italiana. In effetti, la sconfitta non è da imputarsi a queste divisioni, a mio parere, ma proprio ai processi di secolarizzazione indotti dal consumismo».
Torniamo a Torgnon. Molti tra i “fautori” della Casa oggi non sono più tra noi. Quale eredità ci hanno lasciato, a suo avviso?
«Ci lasciano l’eredità fondamentale della comunione e della carità. Nel corso degli anni che ci separano dal 1971, non sono mancate anche nella nostra Chiesa delle divergenze che, in estrema sintesi, contrapponevano un intervento di presenza nella società a un intervento di discernimento. Tanto che da una parte non si è capita la scelta religiosa dell’Azione Cattolica, e dall’altra si è temuta la proposta di forte identità religiosa scambiata per integralismo. Basterebbe pensare che non ci può essere discernimento senza presenza, e non si può essere presenza senza discernere il contesto. La compatibilità tra le due posizioni è logica, ma necessita di una ispirazione fatta di carità. E una realtà come quella della “Maria Nivis” deve corrispondere a questo spirito».
Andrea Antonuccio