Ordine Domenicano
Fra Cristoforo, che cosa hai provato durante la Celebrazione del 4 settembre?
«Parlare di emozioni significa comprendere il rilievo di una celebrazione dalle dimensioni infinite, perché quando Dio viene ad “abitare in mezzo a noi” le parole non sono mai sufficienti per descrivere il Suo agire. Le emozioni più diverse che possono sorgere nell’imminenza di un evento tanto importante, presto lasciano spazio alla calma e alla pace di un affidamento che vede in Lui il vero donatore e nella propria persona il destinatario privilegiato del Suo Dono».
Cosa vuol dire “professione semplice”, e a che punto sei del tuo percorso?
«Fare “professione” in un Ordine religioso significa riconoscere la modalità concreta con la quale si è chiamati a vivere la propria consacrazione battesimale. Con la “professione semplice” ci siamo impegnati pubblicamente a vivere per tre anni secondo la Regola e le Costituzioni del nostro Ordine, avendo ovviamente l’intenzione di rinnovare per sempre il nostro “sì” all’invito del Signore. Tra tre anni dunque ci attenderà la “professione solenne”, in forza della quale sarà poi possibile accedere anche all’ordinazione diaconale e presbiterale. Come professi semplici siamo chiamati ad approfondire gli studi filosofici e teologici, ponendo un accento particolare sulla tradizione domenicana e tomista: avendo io già compiuto una parte di tali studi, sarò impegnato con il Dottorato presso la Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna, a Bologna, e verrò assegnato alla nostra Casa di Ancona».
Come hai vissuto questo primo anno di Noviziato?
«Questo anno di Noviziato è stato un tempo di Grazia, che ci ha permesso di mettere a fuoco, valorizzare e vivere gli elementi portanti della vocazione domenicana, al seguito del nostro santo fondatore e di tutti i santi dell’Ordine. Ci ha dunque dato la possibilità di confermare e approfondire ciò che avevamo intuito della volontà di Dio su di noi, togliendoci ogni indecisione o dubbio riguardo alla via di santità più confacente alle nostre persone».
Non ti manca il mondo esterno, o quello che facevi prima?
«L’uomo contemporaneo vive proiettato sulla complessità e sul caos di una vita piena di elementi e aspetti difficili da tenere assieme e coordinare: il suo progetto ansioso e mai soddisfatto è di arrivare finalmente ad avere tutto sotto controllo, esercitando una sorta di dominio stabile e sovrano sulla realtà. La vita religiosa, invece, procede individuando e focalizzando l’attenzione su Uno solo di tali elementi, Dio, testimoniando che soltanto correndo il rischio di “perdere del tempo” con Lui si riceve di poter vedere l’ordine delle cose, ossia di comprendere come tutto sia voluto e orientato a Lui. Dunque nulla del mondo esterno può mancare davvero, perché ogni aspetto è ritrovato nel suo vero senso e nella sua vera dimensione».
Cosa hai capito di te?
«Sicuramente ho capito che la scelta di Dio è per ogni uomo l’unica scelta vera da compiere: ogni vocazione cristiana, matrimoniale, religiosa o sacerdotale, è il modo in cui Dio, di fronte al caos della complessità, ti dà le lenti adatte al tuo specifico “difetto di vista” per poterLo individuare e vedere, così da disporti a entrare in relazione Lui».
Te lo avevamo già chiesto in occasione della Vestizione… Che cosa vorresti dire a un giovane che è incerto sulla propria vocazione?
«La vocazione, qualunque essa sia, esige una semplificazione: se non si è disposti a correre il rischio di smarrire il controllo della complessità propria e del mondo, per concentrare l’attenzione su Dio e sulla sua volontà, non sarà mai possibile entrare in una relazione vera e di abbandono fiducioso nei suoi confronti, venendo a capo della propria chiamata all’Amore».
Alessandro Venticinque