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Il Cristo di Leopoli messo al sicuro, durante i bombardamenti

Di fronte a chi distrugge noi costruiamo

Intervista esclusiva a don Egidio Montanari, da vent’anni a Leopoli

Don Egidio Montanari (nella foto qui sotto), 64enne di Borghetto Lodigiano (LO), è un missionario orionino che opera da vent’anni a Leopoli, la città dell’Ucraina occidentale (a circa 70 chilometri dalla Polonia) che è diventata, sin dall’inizio dell’invasione russa, un campo profughi a cielo aperto. Una grandissima parte degli sfollati è passata da qui, rimanendo o facendo tappa per poi ripartire. A prendersi cura di loro, oltre ai tanti volontari, c’è soprattutto la comunità orionina: nel monastero “Don Orione” di Leopoli, don Egidio e altri due sacerdoti hanno deciso di rimanere e stanno portando avanti la loro missione. Aiutando tutti, e cercando un senso anche in mezzo alle sirene, alle bombe, ai profughi che fuggono dalla guerra.

Don Egidio, com’è la situazione oggi a Leopoli?

«Leopoli dall’inizio del conflitto è sempre stata abbastanza tranquilla. Questo fino a ieri (lunedì 18 aprile, ndr), quando un bombardamento di cinque missili ha ucciso sette persone. Questi sono i nostri primi morti… In precedenza c’erano stati altri attacchi, ma senza vittime. La città fortunatamente è rimasta un po’ “defilata” rispetto ad altri luoghi. Anche i profughi sono diminuiti: due settimane fa la città era piena di sfollati interni, mentre oggi la situazione si è normalizzata, anche se ci sono circa 200 mila profughi, che vivono in altre famiglie o nelle palestre delle scuole. Anche noi, nelle nostre strutture, abbiamo accolto diverse centinaia di persone. Ci siamo anche impegnati nel portare in salvo più di 400 profughi: molti di loro si trovano nelle strutture dell’opera don Orione, in giro per l’Italia. Tra questi ci sono otto ragazzi disabili che vivevano con noi e che nei primi giorni di guerra abbiamo trasferito a Tortona. Siamo in costante contatto con loro, sono i nostri ragazzi ed è come se fossero i nostri figli. Grazie a Dio stanno tutti bene».

Come avete vissuto questa Quaresima?

«Domenica 24 aprile celebreremo la Pasqua ortodossa. A parte l’ultimo bombardamento, abbiamo svolto tutte le funzioni regolarmente, sempre con un orecchio rivolto alle sirene. Anche se ormai proviamo a non badarci più di tanto».

Negli occhi di chi scappa lei cosa vede?

«La voglia di tornare casa, di tornare alla normalità. Qualche giorno fa, un giornalista ha chiesto a uno dei nostri profughi: “Che cosa desidera di più?”. E lui: “Che Putin vada in pensione”. Tutti vogliono la fine di questa assurda guerra».

Noi abbiamo appena celebrato la Risurrezione di Gesù, ma la guerra non si è mai fermata. Viene da chiedersi dov’è davvero questo Cristo risorto…

«Gesù lo troviamo nella speranza di pace, lo si capisce bene ascoltando le parole del Papa, che parla di una pace vera: non una tregua o una mancanza di conflitti, ma una meta che è al di là di noi. Come vediamo, purtroppo, le trattative si sono arenate, proprio perché manca questa prospettiva di pace. I potenti del mondo non sanno di che cosa si tratta… Francesco lo sa bene, ma nessuno di loro lo capisce».

C’è, però, chi prega per la vittoria dell’Ucraina, non per la pace.

«È vero, e potrei essere d’accordo. Siamo stati aggrediti da una nazione e pregare per la vittoria vuol dire pregare per la salvezza, la reputo una buona azione. Ma ricordiamoci che la meta ultima non è la vittoria, bensì la pace. Altrimenti continueranno a nascere nuovi conflitti».

Domenica 17 aprile, nella Benedizione Urbi et Orbi, il Papa ha detto: «Per favore, per favore: non abituiamoci alla guerra».

«Qui è impossibile abituarsi. Ogni giorno mi ribello e cerco di fare quello che posso per resistere. Per esempio, non abbiamo ancora una chiesa e stiamo continuando a costruirla, nonostante il conflitto. Di fronte a chi vuole distruggere, noi costruiamo. Nel nostro piccolo facciamo di tutto per non abituarci a questo dramma».

Come giudica il lavoro dei media?

«Qualche volta si esagera nella narrazione, soprattutto quando non c’è niente da raccontare. Ho visto giornalisti italiani che fanno scene incredibili, scappano al suono delle sirene e cercano riparo disperatamente. Vedo una sorta di spettacolarizzazione della guerra. Esagerando, però, non si racconta bene tutto. Detto questo, non possiamo negare l’ottimo servizio che tanti altri stanno portando avanti. Penso ai crimini di Bucha o di Kramatorsk: senza quei racconti non avremmo mai saputo la verità».

Qualcuno, anche qui in Italia, ha messo in dubbio la veridicità di questi fatti.

«Sono veri, non ci sono dubbi. Una delle strategie della Russia è confondere con la menzogna. In vista della Pasqua ortodossa, dalla Russia già si vocifera che gli ucraini colpiranno le proprie chiese durante le funzioni per accusare i russi. La propaganda confonde le acque, ma occorre rimanere lucidi. Non possiamo negare che i crimini di Bucha siano stati commessi dall’esercito russo, o almeno una parte. Perché Putin non è tutta la Russia, e tutta la Russia non è Putin».

Per lei è giusto che l’Unione Europea rifornisca di armi l’Ucraina? Il Santo Padre ha definito una vergogna l’aumento delle spese militari.

«Anche qui occorre distinguere. Il Papa ha fatto il suo intervento sull’aumento delle spese militari. Ben diverso è fornire le armi all’Ucraina. Qualche giorno prima delle dichiarazione del Pontefice, il cardinale Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, ha detto che è lecito fornire armi. La legittima difesa vale sempre, e in questa situazione l’Ucraina ha bisogno di mezzi adeguati, non si può combattere con le pietre. Ma sono d’accordo che sia sbagliato aumentare le spese militari, è una scelta molto pericolosa».

Qual è lo scenario futuro?

«Nessuno lo sa, la nazione è mezza distrutta e la gente è avvelenata dalla guerra. Oltre a ricostruire le case, i palazzi e le città, anche le coscienze delle persone saranno oscurate. E chissà per quanto tempo ancora…».

Di fronte a questo dramma, la sua fede cosa dice?

«Bisogna sempre tornare al Vangelo. Occorre abbandonarsi alla Provvidenza e sapere che Dio rispetta la libertà e le scelte degli uomini. Questa immensa tragedia è tutta responsabilità umana, ma Dio riesce sempre a trarre il bene, vuole la pace. Lascia integra la nostra libertà, e dalla nostra libertà fa emergere il Vangelo, la Risurrezione di Gesù. Dio sa come dirigere le cose. Pensiamo alla morte in croce di Cristo: da quella situazione, nata dalla libera scelta degli uomini, Dio ha tratto la salvezza per il mondo. Affidiamoci, preghiamo e la pace arriverà».

Alessandro Venticinque

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