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La strage degli invisibili

Preoccupano i numeri delle vittime tra i senzatetto

C’è una strage silenziosa e invisibile che avviene quotidianamente nel nostro Paese, nelle nostre strade e nelle nostre piazze. Davanti agli occhi di tutti. È il dramma dei morti senza fissa dimora. Secondo i dati raccolti da Fio.Psd, la Federazione italiana organismi per le persone senza dimora, solo da gennaio a fine ottobre 2022 si contano 299 vittime tra i senzatetto. I numeri parlano chiaro: si tratta di un morto al giorno. Indipendentemente dalla stagione e dalle temperature climatiche: si muore in inverno, estate, autunno e primavera. Sempre. E questi dati sono in preoccupante crescita: nel 2021 si contavano 248 vittime, nel 2020 erano 208, nel 2019 erano 219, e nel 2018 erano 211.

Mancano ancora due mesi alla fine di questo 2022, l’inverno sta arrivando e i decessi non sembrano fermarsi. Questa emergenza, silenziosa e invisibile, però, non sempre (anzi, quasi mai) trova spazio sulle pagine dei principali giornali o in televisione. Anche per questo abbiamo deciso di saperne di più, parlandone con Michele Ferraris, che si occupa di comunicazione per la Fio.Psd. Qui sotto troverete la sua intervista, con accanto i numeri degli ultimi anni. Ma non solo.

Troverete anche le parole di papa Francesco che nel 2016, al Giubileo dei clochard, parlando a centinaia di senzatetto giunti in Vaticano, disse: «Vi chiedo perdono per tutte le volte che noi cristiani davanti a una persona povera o a una situazione di povertà guardiamo dall’altra parte. Scusate». Francesco, ancora una volta, è stato d’esempio: si è fatto piccolo, chiedendo scusa, con umiltà e anche con un velo di vergogna. Le stesse sensazioni che dovremmo provare tutti nei confronti di questa strage. Così silenziosa e invisibile che pochi, tra di noi, se ne sono accorti.

L’intervista a Michele Ferraris, di Fio.Psd

«La Fio.Psd è la Federazione italiana organismi per le Persone senza dimora, un’associazione che ha al suo interno, come soci organizzatori, enti del terzo settore ed enti pubblici che in Italia erogano servizi ai senzatetto. I soci sono 146 in tutta la penisola, e in particolare ci occupiamo di promuovere il coordinamento delle realtà pubbliche, private e di volontariato. Ma ci dedichiamo anche a formazione, promozione di buone pratiche e coordiniamo della community “Housing First”». A parlare è Michele Ferraris (nella foto qui sotto), 52 anni, responsabile della comunicazione della Fio.Psd. Nell’ultimo anno, i numeri dei decessi tra i senzatetto sono in preoccupante aumento. Gli abbiamo chiesto di raccontarci le cause di un’emergenza sempre più acuta, dura. E sempre più invisibile.

Ferraris, possiamo stimare quanti senzatetto vivono in Italia? E chi sono queste persone?

«L’ultima indagine risale al 2014: un lavoro svolto da Istat, con la collaborazione di Fio.Psd, Ministero del lavoro e delle politiche Sociali e Caritas Italiana. Da quei dati abbiamo stimato 55 mila persone che vivono senza dimora. Di questi, 50 mila vengono dalla rilevazione di mense e dormitori, e gli altri 5 mila recuperati dall’indagine su strada. Il dato, però, è di otto anni fa, oggi abbiamo solo riscontri numerici da questionari e parziali raccolte di dati. In base a questi dati non ufficiali, stimiamo un aumento medio del 20%. Quindi, siamo sui 65/70 mila persone senza fissa dimora. Ma, ripeto, è un dato ovviamente empirico. Anche la suddivisione è difficile da dare ora in termini di percentuale. Nel 2014 c’era una maggioranza maschile, e più della metà dei senzatetto erano migranti da altri Paesi».

Preoccupano i numeri in aumento dei decessi tra i senzatetto: a fine ottobre siamo già a 299 vittime, praticamente una al giorno. In tutto il 2021 erano stati 246. Perché questo dato è in crescita?

«Credo che le motivazioni siano diverse. Mi soffermo su questa: se vivere in strada è sempre stato difficile e arduo, adesso sta diventando ancora più complicato. Perché la povertà estrema sta aumentando. E, di conseguenza, aumenta anche la difficoltà di chi aiuta. Chi è disperato finisce sempre più ai margini. Come quando piove e si cerca riparo sotto una tettoia: se siamo in tre non ci bagniamo, se siamo in 40 qualcuno rimane fuori».

Dai dati del 2021 la principale causa di queste morti non è il freddo invernale: il 44% dei decessi si verifica a causa di incidenti, il 39% per motivi di salute o di freddo, il 12% per episodi di violenza e il 5% per suicidio.

«Queste persone, sempre più ai margini, non sono seguite, e muoiono per motivi evitabili. C’è chi cade in un fiume, chi viene investito da una macchina, chi muore per il freddo, chi per liti o violenza. E chi decide di suicidarsi. Tutte cause evitabili, se queste persone avessero una casa».

Però non si muore solo d’inverno. Nelle ultime quattro stagioni, 79 sono deceduti d’inverno, 53 in primavera, altri 53 in estate e 60 in autunno.

«Si muore tutti i giorni, e non è solo una frase fatta: è un dato scientifico. Le cause non sono solo climatiche, e non sono di fame. Per fortuna, non si muore di fame, in Italia. Quindi portare i panini in giro per la città, che è un azione gentile e apprezzabile, non aiuta a salvare le vite. Dare da mangiare non cambia la vita ai senzatetto, ma li lascia, comunque, disperati e isolati. Ripeto: va benissimo questo gesto umano e di amore, ma per cambiare la vita dei senza dimora occorre dar loro una casa».

E si muore maggiormente nelle grandi città. Perché?

«Si muore nelle grandi città perché ci sono più persone senza dimora, ed è difficile accoglierli tutti. Se un uomo in un paesino di campagna finisce senza stipendio, senza famiglia e senza casa, la comunità fa rete e lo aiuta. Come accade nelle tante parrocchie che aiutano i disperati. Nelle grandi città, invece, si perde perché le persone sono troppe e l’emergenza aumenta sempre di più. Alcuni Comuni sono indietro e mal organizzati, ma anche quelli ben strutturati, penso a Torino e Bologna, sono in difficoltà e vedono morire diverse persone».

Nel 2023 pubblicherete il report di questo ultimo anno. Cosa vi aspettate?

«Credo che il 2022 finirà in linea con quello che è stato finora. Arriveremo, penso, a 350 morti: un dato nettamente superiore rispetto all’anno scorso. La notizia positiva è che, in diverse occasioni, abbiamo visto interesse dal Ministero del Lavoro, perché alcuni progetti legati al Pnrr puntano ai senza dimora e all’housing first (un modello di intervento per aiutare le persone senzatetto, ndr). È importante che Comuni e Regioni si muovano in questa ottica. Speriamo che nulla cambi con i nuovi ministri e il nuovo governo».

Incontrate e raccontate le storie di molte persone. Cosa vedete nei loro occhi?

«Sono vite che si spengono. Ma quando si dà loro una possibilità o una speranza, si vede che la forza e l’energia ce l’hanno eccome. Hanno voglia di riprendere la propria vita in mano. E poi, a discapito di quanto si dice, non esiste una persona che sceglie di vivere in strada. Nessuno sceglie di vivere in condizioni così dure».

Nel periodo di elezioni avete fatto appello ai leader politici, perché nessuno di loro aveva inserito il tema dei senzatetto nel programma elettorale. Perché questo disinteresse della politica?

«La politica è distante perché è a un livello bassissimo. Sono “bassi” i politici che non si pongono questo problema, perché neanche lo vedono. Nessuno ha l’ambizione di governare per il bene comune, si muovono solo se c’è interesse personale, economico o di potere. E trattare di questi temi non porta voti. Abbiamo mandato una lettera a ognuno di loro, ed è stata ignorata. Non abbiamo ricevuto nemmeno una risposta di cortesia. Certo, qualche politico è sensibile a questi temi e prova a impegnarsi seriamente. Ma cambiare le cose non è così semplice».

Noi, che un tetto sulla testa ce lo abbiamo, perché non ci accorgiamo di queste vicende? Forse non vogliamo accorgercene?

«Non è facile accorgersene. Queste oltre 50 mila persone sono davvero invisibili. Non sono tutti in mezzo alla strada, stracciati e con il braccio teso, come ce li immaginiamo. Sono persone che dignitosamente cercano di sopravvivere: hanno abiti imprestati, vanno alle mense, chiedono aiuto ma con dignità. Stazionano, girovagano, ma non sono così facilmente riconoscibili».

Anche media e giornali non ne parlano…

«Se ne parla poco. È un tema non sempre viene ignorato: su giornali e tv che approfondiscono, se ne parla, sempre in base ai periodi e alle emergenze. Non se ne parla tantissimo, anche per un problema di audience: attira meno di altri temi, perché non è polemico, non polarizza. Non permette di essere strumentalizzato».

C’è qualcosa che possiamo fare per queste persone?

«Il primo intervento, come portare una coperta, un vestito o un panino, è un gesto profondo, ma non deve essere un’abitudine. Se ci si accorge di una situazione pericolosa, di degrado e di insicurezza, occorre chiamare i servizi sociali. È lo Stato che deve occuparsi dei propri cittadini e del proprio territorio. Bisogna poi verificare che si prendano a carico la situazione, e che lo facciano seriamente. Queste persone vanno incontrate, ascoltate. Con estrema calma, ma con seria convinzione».

Cosa vuol dire fare questo lavoro?

«In precedenza ho lavorato come fotografo, ma da 15 anni ormai mi occupo di comunicazione nel sociale. Per me significa impiegare le mie competenze per ottenere risultati utili per le tante persone che vivono in difficoltà. Questa è un’esperienza che ha cambiato il mio modo di vedere la realtà e la mia vita. E lo ha fatto in modo profondo».

Alessandro Venticinque

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