Tratte dal libro “Il nome di Dio è misericordia”
- Ai confessori mi sento di dire: parlate, ascoltate con pazienza, dite anzitutto alle persone che Dio vuole loro bene. E se il confessore non può assolvere, che spieghi il perché ma dia comunque una benedizione, anche senza assoluzione sacramentale. L’amore di Dio c’è anche per chi non è nella disposizione di ricevere il sacramento: anche quell’uomo o quella dona, quel giovane o quella ragazza sono amati da Dio, sono cercati da Dio, bisognosi di benedizione (p. 32).
- Gli apostoli e i loro successori –i vescovi e i sacerdoti loro collaboratori– diventano strumenti della misericordia di Dio. Agiscono in persona Christi. È molto bello questo (p. 37).
- Confessarsi davanti a un sacerdote è un modo per mettere la mia vita nelle mani e nel cuore di un altro, che in quel momento agisce in nome e per conto di Gesù. È un modo per essere concreti e autentici: stare di fronte alla realtà guardando un’altra persona e non se stessi riflessi in uno specchio (p. 38).
- È vero che io posso parlare con il Signore, chiedere subito perdono a Lui, implorarlo. E il Signore perdona, subito. Ma è importante che io vada al confessionale, che metta me stesso di fronte a un sacerdote che impersona Gesù, che mi inginocchi di fronte alla Madre Chiesa chiamata a dispensare la misericordia di Dio. C’è un oggettività in questo gesto, nel mio genuflettermi di fronte al prete, che in quel momento è il tramite della grazia che mi raggiunge e mi guarisce (p. 38-39).
- Come confessore, anche quando mi sono trovato davanti a una porta chiusa, ho sempre cercato una fessura, uno spiraglio, per schiudere quella porta e poter donare il perdono, la misericordia (p. 41).
- Colui che si confessa è bene che si vergogni del peccato: la vergogna è una grazia da chiedere, è un fattore buono, positivo, perché ci fa umili (p. 42).
- C’è anche l’importanza del gesto. Il solo fatto che una persona vada al confessionale, indica che c’è già un inizio di pentimento, anche se non è cosciente. Se non ci fosse stato un moto iniziale, la persona non sarebbe venuta. Il suo essere lì può testimoniare il desiderio di un cambiamento. La parola è importante, esplicita il gesto. Ma il gesto stesso è importante… (p. 51).
- Che consigli darebbe a un penitente per una buona confessione? Che pensi alla verità della sua vita davanti a Dio, che cosa sente, che cosa pensa. Che sappia guardare con sincerità a se stesso e al suo peccato. E che si senta peccatore, che si lasci sorprendere, stupire da Dio (p. 58-59).
- La misericordia c’è, ma se tu non vuoi riceverla… Se non ti riconosci peccatore vuol dire che non la vuoi ricevere, vuol dire che non ne senti il bisogno (p. 71).
- Ci sono tante persone umili che confessano le loro ricadute. L’importante, nella vita di ogni uomo e di ogni donna, non è il non cadere mai lungo il percorso. L’importante è rialzarsi sempre, non rimanere a terra a leccarsi le ferite. Il Signore della misericordia mi perdona sempre, dunque mi offre la possibilità di ricominciare sempre (p. 73).
LETTURA CONSIGLIATA
Il nome di Dio è Misericordia è un libro-intervista a papa Francesco in cui dialoga con Andrea Tornielli, edito da Piemme nel 2015.
Il libro dedica ampio spazio al sacramento della Riconciliazione, all’interno delle considerazioni sulla Misericordia di Dio, anche attraverso aneddoti e racconti di vita del Pontefice.
Tornielli, giornalista e scrittore italiano, dal dicembre 2018 è direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione della Santa sede.
I lettori di Voce hanno già avuto modo di conoscerlo. A lui il nostro grazie per averci concesso di utilizzare alcuni stralci del suo libro.