La recensione
«Vivere significa amare e amare significa vivere». In questo aforisma possiamo racchiudere il senso dell’ultimo libro di don Salvatore Cipressa, Etica del vivere, appena pubblicato da Cittadella (pp 118, euro 12,50).
Presbitero della diocesi pugliese di Nardò-Gallipoli, in cui è direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, l’autore insegna teologia morale presso l’Istituto Teologico Calabro a Catanzaro e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose a Lecce. È stato a lungo segretario nazionale dell’Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale.
Ma che cos’è l’etica del vivere che ispira il titolo dell’opera? L’autore articola così la risposta: «Etica della vita significa accogliere il mistero della vita, un mistero da esplorare, da contemplare, da amare; significa entrare in relazione autentica e dinamica con se stessi, con gli altri, con Dio, con il mondo; significa accettare la diversità irriducibile dell’altro senza la pretesa di possederlo, dominarlo, controllarlo, manipolarlo, ricattarlo; significa essere radicati nella storia valorizzando al massimo la propria vita e vivendo a tutto tondo nella consapevolezza che essa è veramente se stessa quando si fa dono».
Dono è una categoria centrale, che trova un paradigma ineguagliabile nella vicenda di Gesù, il quale pur essendo Figlio di Dio, per amore accettò di sacrificarsi sulla croce. «L’uomo è chiamato, quindi, a inserirsi nel mistero di Cristo, un orizzonte che accoglie ogni genuina espressione dell’humanum». Certo, non v’è persona che non debba attraversare il tunnel della sofferenza ma questa è vinta dall’amore. Per arrivare a tali vette, a prima vista probabilmente inaccettabili, occorre coltivare l’atteggiamento della conversione. Si tratta di una dimensione essenziale della fede, che non può essere circoscritta alla sola Quaresima ma che deve costituire un afflato perenne per purificare il proprio amore per farlo abitare da quello del Signore.
Insomma, il testo di don Cipressa richiama quelli che una volta a calcio si chiamavano i fondamentali: darli per scontati sarebbe un grave errore perché è da essi che dipende il risultato della partita, anzi della vita.
Fabrizio Casazza