Nella Biblioteca storica diocesana del seminario
LIBER PRIMUS IN SUPPLEMENTUM SUPPLEMENTI CRONICARUM: AB IPSO PRIMO AUCTORE FRATE JACOBO PHILIPO BERGOMENSE…
Queste le prime parole scritte sulla prima pagina di un prezioso volume conservato nella nostra Biblioteca. Un libro che esce dalla mente di un illustre uomo di cultura: Giacomo Filippo Foresti. Figlio del conte di Solto (Bergamo) nasce nel 1434 ed entra nell’Ordine degli Eremitani di Sant’Agostino dove ha l’opportunità di dedicare le sue energie agli studi letterari, ma anche di impegnare le sua capacità amministrative coprendo diverse cariche in vari conventi. Muore a Bergamo nel 1520.
L’opera più importante scritta da lui è il Supplementi chronicarum edito a Venezia nel 1483. Un libro che ebbe così successo da richiedere molte ristampe ed edizioni sia in latino che in volgare.
È una specie di libro di storia dove il Foresti annota le cronache che, raccolte da vari testi, meritano di non perdersi nell’oblio.
L’opera è molto schematica, le notizie sono annotate per annate e seguono una sorte di ordine cronologico.
La sua onestà intellettuale lo porta a citare le fonti, tra le quali troviamo nomi come Boccaccio, Pierozzi, Platina… Questo riportare asetticamente le notizie lo conduce anche a commettere diversi errori storici che non gli verranno risparmiati dai critici.
Il nostro volume (AN.3.III.6) è di notevoli dimensione (31x22x6,5 cm circa) e si presenta con una rilegatura rigida in pergamena e sul dorso, a nervi e caselle, scritto a china l’autore, il titolo, la primitiva collocazione e l’etichetta cartacea della vecchia collocazione. Aprendolo si nota subito che è mutilo del frontespizio e, con un più accurato controllo, anche della carta 2A10. Il perduto frontespizio è nobilmente rimpiazzato da una bellissima prima pagina che con una elegante capilettera “I” ed una cornice grottesca valorizzano il testo. La cornice è una xilografia creata in una imperfetta simmetria e che ha il centro della base come punto di partenza della sua “lettura”. Uno stemma in bianco trattiene negli angoli superiori con legacci la coda di un mostriciattolo che a sua volta trattiene in bocca una voluta floreale.
Ad una foglia di questa si lega la coda di un cavallo sul quale un uomo nudo suona un grosso corno, quest’ultima scena crea una sorta di angolo che permette di salire sui lati con una composizione di vari elementi; un vaso, fiori, foglie, araldica, frutti, e una divisa militare. A questo punto ci si accorge che la composizione è legata ad un possente anello trattenuto con evidente fatica fra le fauci da una testa di leone. Sopra la testa ad angolo due cornucopie alate guardanti l’esterno della pagina e con la coda adagiata ad un arco architettonico posto al centro della parte superiore della cornice sotto il quale si trova lo Spirito che aleggiava sulle acque.
La ricchezza di questa pagina non termina con lo stampato, ma continua con due note manoscritte in china color ocra.
Una è la nota di possesso: Est conventus S. Marci de Alexandria ad usum fr.is Stefano Dossena Alex.ni theol. Taur.; e l’altra è l’abbozzo di un’araldica (partito e nell’inferiore una banda) all’interno del blasone in bianco di cui sopra.
Come si evince dalla nota il libro apparteneva al Convento di San Marco in Alessandria ed era usato dell’alessandrino fra Stefano Dossena che fu insigne teologo. Carlo Emanuele I duca di Savoia lo scelse come precettore dei figli. Concorse alla fabbrica dei chiostri e dell’intero edificio conventuale di San Marco a cui legò una rendita annua di duecento ducati.
Archiviando la prima pagine la preziosa cinquecentina continua a donare bellezza grazie ad affascinanti e curiose xilografie che altro non sono che capilettere ed illustrazioni.
Delle prime faccio notare come non seguono una logica di stile e di disegno, ma sono di varie dimensioni, ora con grottesche ora con composizioni floreali, ora con scene come la lettera “D” in grande formato con due bambini nudi che giocano con una scimmia.
Delle seconde abbozzo un fugace elenco:
– due cerchi in una decorazione floreale mostrano la terra allora conosciuta;
– Peccato e cacciata di Adamo ed Eva;
– Caino e Abele offrono i loro prodotti, Caino uccide Abele, Caino dialoga con Dio;
– Costruzione della Torre di Babilonia;
– Vedute delle città di Babilonia, Sodoma (stampata capovolta), Damasco, Rodi, Sparta, Atene, Epidauro (distrutta), Calci (Negroponte), veduta senza nome, Corinto, Mitilena, Genova, Tebe, Micene, Troia, Tiro di Siria (distrutta), Benevento, Napoli, Gaeta, Cuma, Licaonia, Ancona, Aquileia, Padova, Treviso, Pisa, Tournai, Capua, Siracusa, Costantinopoli, Marsiglia, Milano, Pavia, Como, Bergamo, Brescia, Verona, Ferrara, Bologna, Firenze, Siena, Alessandria d’Egitto, Utica, Gerusalemme, Tivoli, Besançon, Palmira, Ragusa (Dalmazia), Ravenna, Cento, Pontremoli, Porto Venere, Edessa, Alessandria (Alexandria Cisalpinae Galliae civitas); Susa (distrutta), Spoleto, Crema, Viterbo, Gerusalemme (veduta diversa dalla precedente), Covo, Foligno, Tripoli (distrutta), Rodi, Pistoia, Cortona, Neptai (in Cina), Cambaleschia (Pechino), Verona (uguale della precedente), Pisa (diversa), Padova (diversa), Brescia (uguale), Bergamo (uguale), Ravenna (uguale), Costantinopoli (uguale), Liegi, Calcide (diversa), Euboia, Capha (in Crimea), Genova (uguale), Granada.
È importante far notare come la maggior parte delle vedute sono inventate ed addirittura utilizzate per diverse città ad esempio Marsiglia e Rodi, Neptai e Spoleto e soprattutto Tournai ed Alessandria.
Al foglio 221 uno spazio è dedicato alla nostra amata città con la più antica stampa tutt’oggi conosciuta.
Lo scritto racconta che la città fu edificata dai milanesi per lottare contro il Barbarossa e come l’origine del nome è dovuta al papa Alessandro. Si riporta anche il fatto che nasce tra il borgo Rovereto e il Tanaro e che un fatto terribile di cronaca, l’assassinio del vescovo, giustifica una lunga sede vacante episcopale. Si menzionano anche le nobili famiglie dei Trotti e dei Guasco.
Il nostro frate Simone non riesce a trattenersi dal commentare questo capitoletto alessandrino e pone in calce delle note (come ha fatto anche in altre occasioni) con il solito inchiostro di china ocra. Purtroppo la postuma squadratura delle pagine ha rovinato tali note rendendole di difficile interpretazione.
Il colophon è sempre una fucina di dati si legge infatti, oltre al titolo dell’opera, che correva l’anno del Signore 1513 (20 agosto) quando il tipografo Giorgio Rusconi stampò a Venezia il volume mentre era doge Leonardo Loredan.
Il tutto termina con la marca dell’editore: un rettangolo nero con una lieve cornice nera con all’interno un cerchio sormontato da una croce patriarcale (arcivescovile) e le iniziali G.R.M. (Giorgius de Rusconibus Mediolanensis).
don Marco Camillo Visconti
direttore della Biblioteca del seminario diocesano