Qualcosa che non ci lasci più tranquilli

L’editoriale di Andrea Antonuccio

Care lettrici, cari lettori,

avete tra le mani un numero di Voce dedicato alla carità. Domenica 25 giugno, in tutto il mondo, verrà celebrata la Giornata per la Carità del Papa, durante la quale sarà raccolto l’Obolo di San Pietro. Nel Paginone vi spieghiamo bene di che cosa si tratta. La Chiesa cattolica vive di carità. Non solo di una carità “provvidenziale”, che ogni anno (miracolosamente) si occupa di tenere in piedi tutto quanto: ma anche di quella carità, nostra o di altri, che ci fa respirare l’aria buona di Gesù, indipendentemente dai risultati che produce, e che a noi sembrano, ahimè, l’aspetto più rilevante di tutta la faccenda.

Ma non è così: “E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova” (1Cor13). Mi ha sempre colpito questo brano della Prima lettera di San Paolo ai Corinzi, perché sembra “demolire” tutto ciò che invece riteniamo giusto e santo. “E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla”.

Neanche la fede che trasporta le montagne è superiore alla carità, per San Paolo (non uno qualunque, ecco). Forse è per questo, per capire meglio dove sta il Bene vero per ognuno di noi, che abbiamo intervistato padre Daniele Noè, delegato vescovile per la carità in Diocesi. Alessandro Venticinque lo ha “torchiato” ben bene (e anch’io qualche domanda l’ho fatta, mentre ascoltavo dalla mia postazione di lavoro); e lui, padre Daniele, non si è tirato indietro. Il risultato lo trovate qui a destra.

Non pretendiamo di dare risposte definitive: ci interessa solo mantenere viva una domanda che non ci lasci più tranquilli. Anche (o forse, proprio) quando ci sembra di essere buoni e caritatevoli. E ci sentiamo a posto, davanti a Dio e agli uomini.

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