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Unità pastorale Orba: si cambia!

Arriva don Giovanni Bagnus: intervista “doppia” con il Vescovo Gallese

Come recita il decreto vescovile numero 40-2023, dal 3 ottobre don Giovanni Bagnus, 39 anni appena compiuti, è il nuovo moderatore dell’unità pastorale Orba (a pagina 5 troverete la locandina con i dettagli dell’ingresso, che avverrà a partire da sabato 4 novembre). Prende il posto di don Valerio Bersano, che torna a Roma a prestare il proprio servizio nell’Ufficio Missionario della Cei. Nell’attesa, abbiamo convocato in redazione proprio don Giovanni, e lo abbiamo “abbinato” al nostro Vescovo, monsignor Guido Gallese, per farci raccontare le motivazioni di questo passaggio attraverso una intervista doppia con i protagonisti. Che non si sono certo risparmiati… La prima domanda la facciamo, come è giusto, al più alto in grado: il Vescovo.

Monsignor Gallese, perché ha scelto Bagnus per l’unità pastorale Orba? Non mi risponda: «Perché che c’era solo lui a disposizione»…

Gallese: «Ma no… (sorride) Credo che adesso serva qualcuno che dia un’impronta di comunione, di un lavorare insieme, in questa unità pastorale che ha già diversi sacerdoti: don Elio Dresda, don Giovanni Sangalli, padre Domenico e padre Elia, don Claudio Moschini e don John. E chi può farlo, se non un giovane come don Giovanni Bagnus? Certo, magari non ha tantissima esperienza pastorale, ma certamente possiede l’energia e l’entusiasmo necessari per iniziare questa nuova avventura. Senza scoraggiarsi, e con molta, molta pazienza».

A proposito, don Giovanni: tu sei paziente?

Bagnus: «Io non sono famoso per la pazienza, a dire il vero (ride), ma ho già iniziato a girare nella nuova unità pastorale per incontrare le persone. Ecco, questo è l’aspetto che preferisco, stare con la gente, e devo dire di aver trovato una grande apertura nei miei confronti».

Che cosa si aspetta da te la “gente dell’Orba”?

Bagnus: «Da un lato, vorrebbero vedere di più il loro parroco, e li capisco. Dall’altro, percepisco la loro esigenza di un cambio di rotta, c’è il desiderio di cambiamento: vogliono partecipare ed essere ancora più presenti. Questo mi fa molto piacere».

Torniamo a lei, Eccellenza. Qual è oggi la situazione delle unità pastorali, nella nostra Diocesi?

Gallese: «Siamo a un anno dall’avvio delle unità pastorali. In questo tempo ci siamo guardati bene negli occhi e abbiamo cominciato a “metabolizzare” il fatto che gli altri sono fratelli con i quali camminare come comunità, per vivere nella Chiesa un servizio, una presenza e un essere a disposizione. Al di là delle cose che si sono fatte, è stato importante prendere contatto con le persone del proprio territorio: iniziare a conoscersi, parlarsi, vedere che cosa si può fare insieme. Operativamente, siamo partiti dall’iniziazione cristiana, primo terreno di confronto e di coordinamento. Alcune unità pastorali si sono messe insieme, mentre altre hanno condiviso solo la formazione dei catechisti, almeno per ora. È un primo passaggio: il secondo, più lungo e faticoso, sarà far sì che nelle unità pastorali vi siano delle comunità che seguono le quattro coordinate delineate negli Atti degli Apostoli e sottolineate da papa Francesco: “Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At 2,42). Già oggi c’è chi lo fa, magari personalmente… ma in gruppo, devo dire, è più raro. Ecco, noi dobbiamo portare nelle nostre unità pastorali questa “rarità”, perché è la matrice della Chiesa: se la perdiamo, inevitabilmente scivoliamo su altre cose e diventiamo una organizzazione qualunque, come ci ricorda spesso il Santo Padre. La comunità cristiana è il luogo in cui si fa esperienza di Dio, e in particolare dello Spirito Santo. Ma deve avere queste quattro perseveranze».

A proposito, don Giovanni: come sei messo a “perseveranze”?

Bagnus: «Onestamente, non è che io le viva ancora nella nuova unità pastorale… ho appena iniziato, sono in una fase conoscitiva che richiede comunque tempo. Sarà una fase molto lunga, prima devo conoscere le persone. Conoscendole, si troverà anche il modo per poter vivere e attuare le quattro perseveranze: altrimenti faccio quello che arriva con una ideologia da imporre… ma le quattro perseveranze non sono una ideologia, sono concrete e passano anche attraverso le “cose da fare”. Che però non devono essere sterili: vanno realizzate in una certa modalità. Le comunità hanno bisogno di vedere una concretezza, altrimenti si spaventano e non capiscono più qual è la strada. Certo, va evitato il rischio del “si è sempre fatto così”, che in fondo è segno di una tradizione svuotata e sminuisce il ruolo della Chiesa. Penso agli oratori, per esempio, considerati spesso come “distributori di servizi” per i giovani. Ma non è questo il loro senso… Ecco, interrogarsi sul significato delle “cose da fare” è un’ottima via da percorrere. Dobbiamo prendere quello che c’è già e “restituirgli” un senso. Nell’ottica delle perseveranze».

Eccellenza, che cosa chiede a don Giovanni Bagnus, che si è assunto questa nuova responsabilità di moderatore dell’unità pastorale Orba?

Gallese: «A don Giovanni chiedo di aver fede. Lo so, sembra una banalità chiedere a un prete di aver fede (sorride)… In realtà mi riferisco alla fede nel quotidiano: di fronte alle difficoltà e alle resistenze che troverà, e saranno innumerevoli, chiedo a don Giovanni di non perdere la pace del cuore. E di superare il più velocemente possibile le inevitabili arrabbiature, il disappunto e le delusioni che accompagnano molto spesso il ministero sacerdotale. Soprattutto nella nostra epoca, nella quale è difficile arrivare in un luogo e mietere subito successi. Questo è il tempo della semina, e oggi può significare anche perdere il seme, buttarlo letteralmente per terra… Auguro a don Giovanni di avere lo sguardo della fede, per comprendere che il lavoro a cui è chiamato darà il suo frutto. Ma non immediato».

Ne approfitto e apro una parentesi: Eccellenza, che cos’è la fede?

Gallese: «È un atto interiore, istintivo per certi versi, ma nello stesso tempo è un habitus per cui mi fido di Dio come un bambino si fida del papà. La fede è la capacità di vedere Dio come il nostro aiuto assoluto che non ci molla mai. In certi momenti della vita verrebbe da dire: “Ho sbagliato tutto”… ma non è così, anche se spesso sbagliamo in tante cose. Dio ci raccoglie, ci aiuta, ci ripulisce, ci rimette in sesto e fa venir fuori dei frutti straordinari, ben al di là dei nostri meriti e delle nostre capacità».

Don Giovanni, tu invece che cosa chiedi al Vescovo?

Bagnus: «Ci ho pensato, in questi giorni… (sorride) Io ho detto di sì perché credo nell’obbedienza, però gli chiedo una vicinanza. Ritengo importanti tre “vicinanze”: la prima è quella del Vescovo, che non mi ha mandato in un posto e poi io mi devo arrangiare da solo. Lui ci deve essere quando ho bisogno, quando lo chiamo per una questione. Deve anche venire a vedere quello che faccio: non sono di certo il “principe” della mia unità pastorale. La seconda vicinanza è quella del presbiterio, cioè dei miei confratelli sacerdoti. Non possiamo essere disgregati, come delle monadi che si muovono singolarmente: dobbiamo essere una famiglia, tendenzialmente. Cosa non facile, ma il cammino di tutti dovrebbe andare verso quella direzione. E infine, spero nella vicinanza della gente: senza quella perde senso anche il nostro fare e il nostro dire. Talvolta anche il nostro essere…».

Non ti senti un po’ “missionario”?

Bagnus: «Più che missionario, mi sento oggetto di una conversione. La mia…».

Andrea Antonuccio

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