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La comunità guarisce? L’incontro nella Cattedrale di Alessandria con Salvatore Martinez

Le parole dell’ex presidente del Rinnovamento nello Spirito santo

La salvezza è l’esperienza che l’uomo, tutto l’uomo, fa della misericordia di Dio

«Non sia la nostra poca fede a limitare l’azione risanatrice di Gesù»

«Con noi c’è Salvatore Martinez, che è stato alla guida del Rinnovamento nello Spirito Santo per 26 anni. Sono molto grato della sua presenza tra noi: credo sia una voce autorevole che ci può accompagnare, direi quasi per mano, ad accogliere quello che è il nesso tra la comunità cristiana e la guarigione».

Così il Vescovo di Alessandria, monsignor Guido Gallese, ha introdotto il secondo appuntamento del ciclo di incontri quaresimali organizzati dalla nostra Diocesi, intitolati “C’è un tempo per curare” (iniziati martedì 5 marzo nel Santuario del Sacro Cuore di Alessandria con il dottor De Franciscis e suor Luigina Traverso).

Davanti ai numerosi (e attenti) partecipanti all’incontro nella Cattedrale di Alessandria, Salvatore Martinez ha affrontato il tema “La comunità guarisce?”. 

Vi proponiamo la trascrizione della prima parte del suo intervento, e vi invitiamo a vedere (o a rivedere) la registrazione dell’intera serata.

GUARDA: Salvatore Martinez, il video dell’intervento in Cattedrale

Ringrazio il nostro padre Vescovo Guido perché ci raduna in Cattedrale quando ormai il giorno sta per tramontare. E mentre lui pregava per me, pensavo a un grande padre della Chiesa, a un santo, Ambrogio, che amava radunare il suo popolo. E peraltro, essendo anche un compositore di musica, amava anche fare cantare il suo popolo. Agostino, che stava nel fondo del Duomo di Milano, nelle confessioni scriverà che quei canti distillavano nel suo cuore la Parola di Dio: “Quanta commozione nell’ascoltare i tuoi canti!”. Perché voglio evocare questa immagine di una Chiesa che si riunisce la sera, e godere della vista di tanti fedeli che ci dicono che è possibile ancora dare credito alla nostra fede cristiana? Quindi, in un tempo nel quale le chiese si spopolano, c’è ancora chi ha il desiderio di ascoltare la parola di Dio. E rendere l’interrogativo, che ci raduna questa sera, invece, una esclamazione. Forse, oserei dire, un imperativo.

LA COMUNITÀ GUARISCE?

La comunità guarisce? Non possiamo avere dubbi che la comunità sia terapeutica. La comunità guarisce, la comunità è il luogo deputato all’esperienza della salvezza. La Chiesa è sacramento di salvezza. Noi, da quando abbiamo aderito alla fede, siamo dei salvati, ma la salvezza va custodita. Ed ecco perché radunarsi questa sera significa vincere, prima di ogni cosa, lo spirito dell’errore o lo spirito del dubbio, lo spirito della menzogna che potrebbe circolare di mezzo a noi. Quando riteniamo, contrariamente alla Parola del Signore, che questa esperienza di salvezza, accompagnata da segni, da miracoli, da prodigi, da guarigioni, si sia esaurita, consumata, appartenga alla Chiesa delle origini, al racconto che ce ne danno i padri della Chiesa. Se così fosse, noi impugneremmo la Parola di Dio. Sapienza 16 dice: “La tua parola che tutto risana, non li guarì né un erba né un emolliente”. E questo Gesù, parola vivente, parola incarnata, parola viva, parola risorta, Ebrei 13, è lo stesso ieri, oggi, sempre. Ambrogio radunava i suoi perché non cadessero nell’errore. Il Vescovo ci raduna questa sera perché non abbiamo anche noi a cadere nell’errore di ritenere che la comunità non sia il luogo nel quale, ancora oggi, il Buon Samaritano, Luca 10, accompagna l’umanità ferita. “Abbiate cura di lui” è il comando che Gesù dà alla sua Chiesa. Così come il buon samaritano lo diede al locandiere: “Abbi cura, prenditi cura di lui”. Questo è il mandato che ancora noi oggi cerchiamo di onorare, a distanza di duemila anni. Dunque per me è una gioia stare con voi, saluto tutti i presenti, coloro che ci stanno seguendo da casa.

GEsù NON HA PARLATO DI GUARIGIONE, MA…

Abbiamo dunque bisogno di ricentrare la nostra fede su Gesù, sul ministero di Gesù che continua nella sua Chiesa. E mi avvalgo di ciò che l’evangelista Giovanni, al capitolo 13, prima della passione di Gesù, dirà: “Voi mi chiamate Maestro e Signore”, è Gesù che parla, “e dite bene, perché lo sono, vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io facciate anche voi”. Maestro e Signore. Gesù non è solo Maestro, ma è anche Signore. Cioè, non ha solo insegnato, non ci dà questa sera un insegnamento, ma con la sua vita ci dà prova di sé. Non ha solo predicato una dottrina, ma ha anche portato a compimento tutte le sue straordinarie promesse. E sono promesse antiche quelle che ci parlano di guarigione, è la voce di Dio che si ode dal roveto ardente, Esodo 3: “Io ho udito il grido del mio popolo, ho osservato le sue sofferenze”. E Mosè prefigura il grande liberatore, il grande terapeuta. Gesù non ha parlato di guarigione, Gesù ha guarito, Gesù guarisce. Non ha parlato di liberazione, Gesù ha liberato, Gesù libera e ci ha insegnato a pregare il Padre con questa richiesta: “Liberaci dal male”. Questa è la preghiera di Gesù, questa è la preghiera della Chiesa, questa è la preghiera che ogni giorno ripetiamo, che insegniamo ai nostri figli. Ora, vedete, la guarigione non è un test per dimostrare il nostro grado di fede, la santità di chi la invoca, ma è solo la risposta di Dio al nostro amore. Ed è l’occasione che diamo a Dio per mostrarci che ci ama. Solo l’amore può riaccendere il fuoco spento della salute, dell’anima e del corpo in noi. Per questo amore chiede amore, chiede corrispondenza. Dunque siamo qui, questa sera, per ascoltare con amore, per pregare con amore, per credere con amore. Vedete, se noi diciamo che abbiamo fede in Dio, non siamo ancora perfettamente cristiani. Noi dobbiamo dire che la nostra è la fede in Dio amore, in Dio amore, che ha tanto amato il mondo da dare la sua Salus. Il concetto di Salus non è soltanto tradotto in italiano, la salvezza, ma un amore che salva. L’amore di Gesù è il solo amore salvifico che è possibile per un uomo di incontrare sulla terra. Ci sono tante forme di amore. Sarebbe interessante rileggere la prima enciclica di Benedetto XVI che, proprio al primo numero, esordisce dicendo: “Quanti scimmiottamenti dell’amore noi conosciamo nella nostra storia”. Sarebbe interessante farne l’elenco. Ma l’unico amore che salva, e pertanto che manifesta i segni della salvezza, la guarigione, la liberazione sono segni della salvezza, è l’amore di Dio incarnato, donato in Gesù.

Giovanni 10: “Nessuno ha un amore più grande di questo, nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici”. E così si porta a compimento la parola del Profeta. Per le sue piaghe noi siamo stati guariti e, innalzato, effonderà uno spirito di consolazione. Siamo nel tempo di Quaresima e quindi ci fa bene ricentrarci su queste verità fondamentali della nostra fede. Dobbiamo dunque postulare che se Cristo è il Maestro ed è il Signore, noi non abbiamo bisogno di surrogati d’amore e non abbiamo neanche bisogno di sminuire, di ridurre la portata del suo insegnamento salvifico. Però, dobbiamo affermare che questo primato di Gesù continua a essere contrastato da filosofie ingannevoli, da sistemi di pensiero decadenti, alienanti, disumanizzanti, che se possibile producono altri feriti. Vedete, il cuore del mondo è ferito, il cuore delle istituzioni è ferito, il cuore della famiglia è ferito. In tanti modi la non corrispondenza alla verità di Dio, Giovanni 8, la verità che ci rende liberi, la verità che ci salva produce, continua a produrre sofferenze e malattie. È quello che San Paolo chiama il “mysterium iniquitatis”, che si contrappone per l’appunto al “mysterium salutis”, al mistero della salvezza. Pietro, dopo Pentecoste, in una dichiarazione dommatica, quindi enunciando un dogma fondamentale della nostra fede, Atti 4, postula: “In nessun altro c’è salvezza. Non vi è infatti sotto il cielo altro nome nel quale è stabilito che noi siamo salvati”. E vi riporto, per un momento, alle parole che il sacerdote dice proprio prima di distribuire l’Eucarestia, ricordando un episodio del Vangelo in cui il centurione dice: “Di’ solo una parola e il mio servo sarà guarito, sarà salvato”. Così noi ci accostiamo a Gesù nell’Eucarestia, in nessun altro è possibile esperimentare salvezza.

IN LUI È LA SALUTE

Prima di dedicarci dunque a osservare la comunità che è il prolungamento nel tempo, nello spazio, nella storia del Ministero di Gesù, della missione di Gesù, grazie all’azione sempre nuova, sorprendente, sacramentale e carismatica dello Spirito Santo, dobbiamo guardare per un momento a Gesù. La prima impressione che Gesù suscitava, stando in mezzo alla gente, era quella di un uomo pieno di amore, animato da una profonda compassione che aveva verso gli ammalati e i sofferenti. Gesù andava quasi a scovarli, andava a cercarli e amava anche provocare il malato dicendo: “Vuoi guarire?”. Vuoi fare esperienza del mio amore, significa. Entrando nella sinagoga di Nazareth, e dando inizio al suo ministero pubblico, Gesù dirà, riprendendo l’antica profezia di Isaia: “Queste parole si stanno compiendo oggi, qui dinanzi a voi”. Scandalo, pensarono di precipitarlo all’udire queste parole. Una delle prime grandi bestemmie che viene imputata a Gesù. Lo Spirito è sopra di me e mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato all’uomo. A quella umanità, dirà nel Vangelo di Matteo, capitolo 9, che non è fatta di sani, o se aggiungete una “t”, di santi, ma di malati, di peccatori. “Per loro io sono venuto”. E nella Sinagoga di Nazareth, Luca 4, Gesù dirà: “Io sono venuto per portare liberazione ai prigionieri, libertà agli oppressi, vista ai ciechi e per annunciare, per dare gioia”. Per annunciare il lieto annuncio ai poveri. Questa è l’umanità che Gesù viene ancora a salvare, a guarire, a liberare, a consolare. E siamo noi, dicono i padri della Chiesa, siamo noi, continuiamo a essere noi che abbiamo continuamente bisogno di alimentare la presenza di Gesù nella nostra vita. Colui che salva, libera, guarisce. “Dite a quella volpe di Erode”, disse un giorno Gesù, “che il Padre mio opera sempre e anche io opero con Lui”. Non ha smesso di operare, non solo nella vita del mondo, ma nella nostra vita. Poco più avanti, sempre lo stesso evangelista Luca ci riporta una parola di Gesù che è drammaticamente vera per noi, anche per la Chiesa, anche per la teologia, non solo per il mondo. Giovanni Battista è stato arrestato e manda due dei suoi discepoli da Gesù a chiedergli: “Ma sei tu il Messia o ne dobbiamo attendere un altro?”. E Gesù non esita, non fa un riepilogo teologico, non racconta di sé, come fece ai discepoli di Emmaus, a partire dalle scritture che dicevano di lui. Si limita a dire ai discepoli di Giovanni il Battista: “Andate a riferire a Giovanni ciò che voi vedete”. I ciechi recuperano la vista, gli zoppi camminano, e fa un elenco di guarigioni e di miracoli che sono sotto gli occhi di tutti. E se questo e l’insegnamento che Gesù rivolge al Battista, che aveva definito il più grande tra i profeti nati da donna, l’insegnamento, l’ammonimento che dà alla Chiesa sono le parole che seguono. E guai a chi si sarà scandalizzato di me. E guai a chi si sarà scandalizzato di un Dio così vicino, così provvido, così incarnato da prendersi cura di noi. Guarendo, liberando e salvando. Guai, dice Gesù, a chi si sarà scandalizzato di me. Come non attestare davanti a queste parole, invece, tutti i nostri limiti, tutte le nostre opposizioni, tutta la difficoltà che abbiamo, ed è incredibile che questo avvenga, ad accettare che questo è il Ministero di Gesù, a parlare di questo Ministero di Gesù, a proporre, ecco la comunità, la Chiesa, il Ministero di Gesù. Gesù, dice Luca, e il suo insegnamento è interessante perché è un medico e dunque anche i verbi greci che vengono usati, il modo con il quale viene descritta la malattia, la sofferenza, il modo con cui Gesù lavora, guarisce, libera, è estremamente interessante. “Da Lui usciva una forza che sanava tutti”, Luca 6. Che significa? In Lui è la salute, è tutta concentrata in Lui, è l’uomo disceso dal Cielo, è Dio. Ed è in grado di offrire, a ogni uomo, sanità di corpo, di anima, di spirito per ristabilire quello stato primordiale di salute che il peccato è venuto a ferire, e a ferire a morte. Questa sorgente di salute di Gesù Cristo vive oggi nel suo corpo che è la Chiesa. In essa la carne e il sangue del Figlio dell’uomo, concordemente all’opera sacramentale e carismatica dello Spirito, continuano a dare vita nuova e a seminare il germe della immortalità eterna.

IL VALORE TEOFANICO DELLA SALUS

Dunque, quando accostiamo i Vangeli, dobbiamo dare un significato a questa Salus. Intanto, ha un valore strumentale, perché è forma del corpo e strumento espressivo dell’anima, la Salus di Gesù. Ha poi un valore teofanico, cioè che manifesta la gloria di Dio: Lui è veramente il più bello tra i figli dell’uomo, Lui è veramente il figlio di Dio. Non dimenticate che subito dopo le guarigioni, sempre gli evangelisti annotano: “Tutta la folla antistante glorificava Dio”. Direbbe Sant’Agostino: “Era il modo con il quale si poteva alzare lo sguardo per glorificare Dio”. Non, attenzione, segni che permettono di aumentare la fede. Noi non abbiamo bisogno dei segni perché la nostra fede aumenti. Gesù dice: “Sono beati coloro che credono pur non avendo visto”. Ma il segno, il miracolo, la guarigione procura gloria a Dio. Questo è importante: Dio va adorato, Dio va glorificato diciamo nel Credo e quando opera salvezza porta i suoi, la Chiesa, alla glorificazione. Ecco perché sono fondamentali nel piano salvifico di Dio, e c’è questa dimensione teofanica. Poi ha un valore cherigmatico, è la potenza della Parola del Signore. Non dimenticate che la prima comunità cristiana, dopo Pentecoste, dopo la prima forma di persecuzione, vengono arrestati dopo la prima guarigione alla Porta Bella, e chiedono ragione di come questo fatto sia avvenuto. Ebbene gli Apostoli ritornano nel Cenacolo e chiedono di non perdere questa libertà proprio nell’annuncio della Parola, di non perdere la libertà e la franchezza. E invocano, in questa meravigliosa preghiera di intercessione, che nel nome del Santo servo Gesù continuino a esserci segni, miracoli e prodigi. L’aveva promesso Gesù. Nei Vangeli le Sue ultime parole, quello che si chiama il mandato apostolico di Gesù include non solo il mandato di andare e guarire gli infermi, ma questi saranno i segni che accompagneranno coloro che credono. E San Paolo dice ai Romani, capitolo 10: “Come potranno credere se non c’è qualcuno che annuncia?”. Ecco il livello cherigmatico. Quando c’è la proclamazione della Parola, noi dobbiamo credere che quella Parola produce l’effetto per la quale il Signore l’ha mandato. Dunque ha un valore cherigmatico, annuncia che il Regno di Dio è in mezzo a noi. Il Regno di Dio è Dio, è Dio in mezzo a noi. Infine, la Salus ha un valore escatologico, perché è segno del mondo futuro. E in questo senso la Chiesa è partecipe sulla terra della Gerusalemme celeste. È bellissima l’immagine che dà Sant’Agostino nella sua opera “La città di Dio”, per evidenziare questa coincidenza che deve esistere, seppure nella fragilità, nella povertà che la Chiesa che è sulla terra esperimenta.

LA POTENZA DELLA PREGHIERA

Purtroppo, molti limitano questa Salus di cui abbiamo parlato al campo dell’anima, e dimenticano che, invece, la salvezza riguarda tutto l’uomo: è l’esperienza che l’uomo fa della misericordia di Dio. Von Balthasar, nella sua estetica, nella parte dedicata alla gloria, scrive delle pagine meravigliose per dire che Gesù vuole tutto l’uomo davanti a sé. Non lo vuole solo con la sua anima, col suo cuore, con la sua intelligenza. Ma lo vuole con il suo corpo, con le sue emozioni, con la sua affettività, con la sua immaginazione. Egli vuole tutto l’uomo dinanzi a sé. Non sia la nostra poca fede a limitare l’azione risanatrice e salvifica di Gesù nelle città dove noi viviamo. San Marco ci ricorda che proprio a Nazareth, la città di Gesù, il Signore non poté operare nessun prodigio. E sentite cosa nota: “Impose le mani solo a pochi ammalati”. Solo a pochi ammalati. Perché invece nei Vangeli leggiamo che era ancora notte e Gesù continuava a imporre le mani e a guarire, e si meravigliava della loro incredulità. La comunità, la Chiesa, salvaguarda la forza, la potenza di questo messaggio se vince, guarisce dall’incredulità. L’incredulità è un virus mortale, lo dice Giacomo, porta al peccato e il peccato porta alla morte, è una progressione inesorabile. Il dubbio non è ancora l’incredulità, per quanto Gesù afferma che il padre del dubbio è Satana. Ma non vogliamo contrastare alla parola di Gesù. Il dubbio è come un limbo, può risolversi in due modi, come una tentazione, non necessariamente si risolve in modo negativo, può essere vinto. Ma se è illuminato dalla fede, allora non porterà al peccato e dunque alla morte. Perché la Chiesa, la comunità, come sacramento di salvezza, salvaguardi, vi dicevo, l’insegnamento di Gesù, noi dobbiamo ripostulare, riformulare il valore della nostra fede in Lui. Intanto, in primo luogo, la fede nelle sue promesse. Dice il profeta Isaia: “Voi che ricordate le promesse del Signore, non stancatevi di ricordarli a Lui. Non date riposo a Dio e neanche voi datevi riposo fino a che il Signore aveva compiuto le sue promesse”. E questo è il valore della preghiera. Ricordate quell’uomo che va a bussare per avere dall’amico il necessario per allestire una cena per degli ospiti non attesi. O l’immagine della vedova inopportuna. Gesù gradisce questo nostro ricordare, avere fede nelle sue promesse. E la nostra fede deve essere guarita quando non crede nella potenza della preghiera, quando non è perseverante nella preghiera. È una delle quattro assiduità della prima comunità cristiana. “La prima comunità cristiana”, Atti 2, 42, “faceva esperienza di una preghiera assidua”. Cioè di una preghiera che non molla, di una preghiera che ottiene, di una preghiera che non si stanca di chiedere. Fede nella sua sapienza, dunque fede nelle sue promesse. Ed è tutta la tradizione sapienziale della Chiesa, ed è tutta la tradizione che ci deriva dal Magistero, dalla parola di Dio. La nostra fede va coltivata, la nostra fede va alimentata, soprattutto in questo tempo di grande confusione, di errore, di menzogna. La nostra fede non va solo custodita, ma va coltivata. È proprio un campo di cultura. Se non conosco le vie di Dio, se non conosco i Suoi pensieri, se non conosco l’opera dello Spirito, è evidente che la mia fede si abbrevierà, si accorcerà, l’orizzonte rimarrà estremamente povero. […]

Qui trovate la registrazione integrale della serata

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