Parla Jihane Rahal, responsabile comunicazione di Avsi: «La situazione
in quest’ultima settimana è degenerata dopo i bombardamenti di lunedì»
«Il Libano è un messaggio, ma in questo momento è un messaggio martoriato e questa guerra fa effetti devastanti sulla popolazione: tante, troppe persone continuano a morire giorno dopo giorno, in Medio Oriente. Preghiamo per le vittime, per le loro famiglie, preghiamo per la pace. Chiedo a tutte le parti che si cessi immediatamente il fuoco in Libano, a Gaza, nel resto della Palestina, in Israele. Si rilascino gli ostaggi e si permetta l’aiuto umanitario. Non dimentichiamo la martoriata Ucraina». Questo è stato l’ennesimo, accorato, appello di pace di papa Francesco nell’Angelus di domenica 29 settembre a Bruxelles, durante il suo viaggio apostolico in Belgio e Lussemburgo. Ma la situazione in Medio Oriente, poche ore dopo, è precipitata. Nella serata di martedì 1° ottobre una pioggia di missili, centinaia, sono stati lanciati dall’Iran verso Israele, nelle due principali città, Tel Aviv e Gerusalemme, dove diversi testimoni parlano di esplosioni: un attacco in risposta a ciò che è accaduto lunedì 30 settembre, alle 22 (ore locali), quando l’esercito di Israele ha sfondato il confine ed è entrato in Libano con le truppe di terra. Il governo Netanyahu ha annunciato l’operazione, specificando che si è trattato di azioni «mirate, limitate e localizzate nel Libano meridionale». Le truppe che hanno varcato il confine con il Paese dei cedri, riferiscono i media, hanno l’obiettivo di smantellare la struttura militare costruita da Hezbollah, l’organizzazione paramilitare islamista sciita e antisionista libanese. Un’azione che segue il precedente attacco che si è concretizzato, venerdì 28 settembre in un sobborgo meridionale di Beirut, proprio con l’uccisione dello storico leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Il Libano sta vivendo ore di terrore e panico, e si trova schiacciato tra i miliziani sciiti e i carri armati israeliani. Quello libanese è un Paese in ginocchio che, già da molti anni, sopravvive con enormi problemi economici e con milioni di profughi al suo interno. E la guerra è la goccia che sta facendo traboccare un vaso pieno, sempre più pieno. Un’emergenza nell’emergenza, che ci siamo fatti raccontare da Jihane Rahal, responsabile comunicazione in Libano di Avsi, organizzazione non profit che realizza progetti di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario in 42 Paesi nel mondo.
«La situazione in Libano in quest’ultima settimana è degenerata, soprattutto dopo i fortissimi bombardamenti avvenuti lunedì scorso nel sud del Libano, nella Bekaa e nella periferia sud di Beirut. Esplosioni che stanno causando lo sfollamento di oltre un milione di persone dalle zone più colpite verso Beirut e verso il nord del Libano» racconta a noi di Voce Jihane, poche ore prima l’attacco di Israele via terra. «La maggior parte degli sfollati si sta rifugiando nelle scuole che sono state aperte, quindi rese adibite a “shelter”, luoghi di accoglienza. Dove però manca tutto: beni di prima necessità, materassi, cuscini, coperte, acqua, cibo. Ma anche materiale per l’igiene personale e per tenere puliti i luoghi. Perché ovviamente più di una famiglia vive all’interno di una stanza. Quindi, fondamentalmente, parliamo anche di 15 persone che dormono all’interno di un’aula».
In questa condizione estrema l’aiuto di Avsi diventa, dunque, fondamentale. «Fin dal secondo giorno, quindi da martedì, ci siamo mobilitati subito con una serie di distribuzioni di beni di prima necessità. Abbiamo consegnato acqua, generi alimentari e anche pacchi per l’igiene. Ma ovviamente ci siamo accorti che le necessità sono tantissime: per esempio, servono anche il latte e i pannolini per i bambini piccoli. Si parla di circa 800 scuole aperte che accolgono dalle 200 alle 2 mila o 3 mila persone. Sono numeri davvero grandi, il bisogno è tanto».
Poi Jihane ci parla della guerra, che sembra non finire mai. «L’emergenza si accentua sempre di più, non si vedono adesso barlumi di speranza su un cessate il fuoco. Per quanto i governi stiano lavorando su questo, sembra un’opzione davvero lontana…».
Nonostante le criticità l’aiuto di Avsi prosegue, aumentando gli interventi, come ci spiega l’operatrice in Libano: «Oltre ai primi interventi, abbiamo attivato delle “hotline” per le famiglie, soprattutto quelle seguite dal sostegno a distanza che Avsi ha nel Sud del Libano, un progetto che accompagna e sostiene 1.300 bambini e le loro famiglie. Si tratta di linee di comunicazione, affinché possano mettersi in contatto con alcuni dei nostri psicologi per avere un supporto e parlare di questa situazione. Perché lo stress causato dalla guerra è molto forte per tutti. E queste persone non vanno lasciate sole».
Dall’Avsi ci fanno sapere che l’impatto dei bombardamenti, intensificati negli ultimi giorni, sulla popolazione è sempre più devastante: la situazione sanitaria è al collasso, gli ospedali e i centri sanitari faticano a far fronte al continuo arrivo di feriti, mentre le scuole restano chiuse per migliaia di bambini, che ormai da cinque anni patiscono continue interruzioni dell’anno scolastico. Per l’emergenza Libano, Avsi, operativa nel Paese dal 1996, ha lanciato una nuova campagna dal titolo “Hope4Lebanon”. Per aiutare gli interventi di Avsi in Libano è possibile donare direttamente dal sito www.avsi.org. Una mano tesa verso l’ennesimo luogo del mondo martoriato e in ginocchio a causa della guerra. Quella guerra che, come ricorda sempre il Santo Padre, è una follia. In cui perdono tutti.