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«Noi non vogliamo questa guerra»

Emergenza Libano: parla padre Charbel El Khoury

È passato un anno dall’attacco di Hamas a Israele. In questi 365 giorni il conflitto in Medio Oriente si è allargato, come una macchia d’olio, portando la sua scia di morte e miseria anche in altri Paesi limitrofi. È il caso del Libano, dove questa guerra non ha fatto altro che acuire una situazione di estrema povertà presente già da diversi anni. E ci rendiamo conto di questa emergenza quando riusciamo a parlare con padre Charbel El Khoury, monaco maronita della comunità di San Giovanni Marco a Byblos, 37 km a nord di Beirut. In questo momento il religioso si trova in Italia perché sta portando avanti una missione di raccolta farmaci per il suo Paese: «Adesso sono a Treviso, sono arrivato due settimane fa, prima che cominciasse questa guerra. La mia missione in realtà è iniziata quattro anni fa, a causa della crisi economica in Libano: voglio dare una mano alla gente, portando i farmaci che mancano. Tutto questo prima del conflitto: ora la situazione è cambiata, i bisogni purtroppo sono aumentati».

Padre Charbel, quali notizie porta dal suo Paese?

«La situazione in Libano adesso è proprio un disastro. Prima di questa guerra, da noi c’erano circa due milioni di rifugiati arrivati dalla Siria a causa del conflitto nel loro Paese. Qualche anno fa è arrivata una pesante crisi economica, e adesso questa guerra ha portato i libanesi stessi a diventare rifugiati in Libano. Secondo le statistiche del governo, circa un milione e mezzo di libanesi è sfollato. Si tratta, quindi, di un terzo della popolazione: noi, in totale, siamo quattro milioni e mezzo. Quindi non c’è spazio per tutti».

E dunque?

«Il governo ha dovuto aprire tutte le strutture pubbliche, teatri compresi. Ma alla guerra si aggiunge un’altra crisi: gli studenti non vanno più a scuola, all’università, tutte le strutture sono occupate. E gli istituti non sono attrezzati per permettere la didattica a distanza, online, perché manca Internet. Così le persone che arrivano da noi sono senza niente. Senza niente! Hanno chiuso la porta di casa e sono scappate. Arrivano a mani vuote, non hanno soldi. E noi dobbiamo dare loro una mano, con tutte le risorse possibili: adesso non servono solamente farmaci, ma anche pacchi alimentari».

Qual è la cosa che fa più male di fronte a questa guerra?

«Vedere questi innocenti, il popolo, soffrire. Noi paghiamo il prezzo di una guerra che non è nostra. È la guerra degli altri sul nostro territorio. Non è la guerra tra Israele e Libano, no. Questa è la guerra tra Israele ed Hezbollah. Il conflitto non è contro i libanesi, non è il governo libanese ad avere dichiarato questa guerra. E questo fa male. I telegiornali fanno vedere che Israele bombarda Hezbollah, e arriva la risposta dell’Iran. Ma, allora, questa guerra tra chi è? Non voglio fare un discorso politico, ma questi di Hezbollah sono libanesi, musulmani, sciiti, ma sono anche filo-iraniani. Hanno il comando sulla terra, e così tutto il nostro popolo è sotto la guerra per colpa loro. Non è una decisione del popolo libanese. Noi non vogliamo questa guerra. Tutti noi vogliamo la pace».

Ci si chiede, di fronte alla guerra, alle ingiustizie, alla morte, dove sia Dio. E perché permetta tutto ciò.

«Sicuramente la guerra non è il lavoro del Signore. Perché, come dice San Paolo, Gesù Cristo è la nostra pace. Dunque, il Signore non è con la guerra, con la morte, con la distruzione. Questo è il lavoro dell’essere umano, Lui non c’entra niente. Il Signore sta soffrendo con noi. Come soffriamo noi, Lui soffre di più, più di noi, per tutte queste guerre».

Nell’Angelus di domenica 6 ottobre, papa Francesco ha chiesto un cessate il fuoco immediato e poi ha pregato per i libanesi. Il Santo Padre continua a rivolgere appelli, ma sembra che la sua voce non venga mai ascoltata.

«Peccato che non venga mai ascoltato. Lunedì (7 ottobre, ndr) il Santo Padre ha chiesto una giornata di preghiera e digiuno per la pace. Noi vogliamo la pace, non vogliamo altro: siamo uomini di pace. Come ho detto, stiamo pagando il prezzo della guerra degli altri sulla nostra terra. Sicuramente il Signore sta dalla nostra parte, dalla parte della pace. E noi siamo dalla parte del Signore, preghiamo Lui per la pace».

Si arriverà mai a una pace? C’è luce in fondo a questo tunnel?

«In questi giorni non si vede l’uscita. Preghiamo, ma non si vede l’uscita. Quello che spaventa di più è che questa è una guerra di religione, non è solo un conflitto tra due Paesi. E sappiamo che le guerre di religione durano, durano tanto. Speriamo di no, ma questa è la situazione».

Lei porterà avanti la sua missione qui in Italia. Come possiamo aiutarla?

«Da quattro anni sto facendo questa raccolta di farmaci. Ne servono di ogni tipo, l’importante è che non siano scaduti. Ma adesso stiamo facendo anche una raccolta per i pacchi alimentari. Non sono qui per chiedere soldi, ma questi pacchi ci servono per aiutare la gente che soffre. Se c’è qualcuno che ci vuole dare una mano, può farlo (vedi i recapiti alla fine dell’intervista, ndr). Una volta fatta la donazione, noi prendiamo i pacchi alimentari e dopo manderemo un elenco, una ricevuta di ciò che è stato comprato e delle persone che abbiamo aiutato. Lo facciamo sempre, per essere trasparenti».

Chiudiamo con una parola di pace. Sia per chi vive sotto le bombe, sia per chi quelle bombe le sta lanciando.

«Alla fine di tutti i conflitti ci sarà la pace, ci sarà un patto di pace. Io sono sicuro e ho fede che il Signore non c’entra con tutte queste guerre. Il Signore soffre con le persone, con l’essere umano. Soffre quando vede tutte queste guerre e tutto questo disastro. Perché adesso in Medio Oriente non è solamente una guerra, è un vero disastro… Preghiamo il Signore, preghiamo le persone di buona volontà, tutti i capi del mondo che hanno il potere di fare la pace. Non aspettate uno, due o tre anni, come viene fatto sempre. Perché ci saranno tantissimi innocenti che verranno uccisi. Chiedo a tutti voi di pregare. Perché alla fine a vincere sarà la pace».

Per informazioni e per contribuire: missionlibano@gmail.com Tel. 351 6814424.

Alessandro Venticinque

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