Vocazioni diocesane
Lunedì 7 ottobre nella Cattedrale di Alessandria il seminarista della nostra diocesi Alejandro Suárez Correa (nella foto) è stato ammesso agli Ordini sacri. Alejandro ha 28 anni, è originario di Medellín, in Colombia ed è in Italia da tre anni e mezzo. Gli abbiamo chiesto di raccontarci come è andata e quali sono le sensazioni dopo questo suo primo passo verso l’Ordinazione sacerdotale.
Alejandro, ti senti cambiato, o tutto è rimasto uguale?
«Non sono ancora “atterrato”, perché è stato un momento davvero bello (sorride). Questa è una domanda molto difficile, perché il rito non ti cambia, ma quello che farai dopo sì. Non tolgo importanza al rito, ma sono chiamato a continuare il mio cammino di preparazione dando la mia buona testimonianza per arrivare preparato al sacramento dell’Ordine, quando Dio vorrà».
Che cosa pensi di ciò che ti ha detto il Vescovo?
«Tre cose. La prima: mi ha indicato di donarmi con umiltà e semplicità, come Maria, senza la pretesa di capire tutto. Ed è molto difficile, perché io sono curioso e cerco di trovare sempre una risposta. Quindi mi viene richiesta tanta fede, nel disegno di Dio che Lui ha per me. La seconda riguarda l’intelligenza, per portare le persone a Dio e non a me. E, da ultimo, costruire la casa sulla roccia, affinché i nostri progetti pastorali siano saldi, togliendo l’autoreferenzialità, e mettendo sempre al centro Gesù».
Cosa ti hanno detto parenti e amici?
«I miei parenti sono contentissimi. Anche se a loro è difficile spiegare cos’è il rito di ammissione. Il giorno dopo, martedì, appena sveglio ho letto messaggi in cui mi chiamavano “don”, o cose di questo tipo (ride). Ho dovuto spiegare a tutti che cosa significa essere ammessi agli Ordini Sacri: ovvero, quando la Chiesa ti abbraccia e accetta la tua richiesta di continuare il percorso di discernimento vocazionale. Nonostante la lontananza, sentivo la Cattedrale piena con tutte le persone in Colombia e in ogni zona in cui sono stato».
Che differenza c’è tra la fede vissuta nel tuo Paese e quella vissuta qui?
«Ogni posto ha le sue particolarità, i suoi modi per vivere la fede. Credo che la Chiesa latinoamericana abbia una impostazione diversa, ma è viva, crede ed è consapevole che ha bisogno dello Spirito Santo. Questa consapevolezza credo che qui un po’ manchi. Manca quel sentirsi spinti dallo Spirito Santo per creare la comunità, le attività, istruire dottrinalmente le persone, fare carità. Forse qui non siamo consapevoli che questa forza ce la dà lo Spirito, e che dobbiamo chiedere a Dio la forza per agire spiritualmente».
Qual è il punto debole della Chiesa, oggi?
«Abbiamo fatto diventare la Chiesa come una macchinetta di Sacramenti. La gente viene, mette i soldini e riceve il Sacramento. Oggi la parrocchia non viene più vista al centro, come una grande famiglia, ma come una istituzione lontana. Invece dobbiamo tornare a vivere dentro la Chiesa con i nostri cari e i nostri amici».
Dopo l’ammissione ti senti più certo di prima? È questa la tua strada?
«Diciamo che dopo tanti anni di cammino, ricevere l’ammissione mi fa essere consapevole che questo è un passo importante. Un passo che con l’aiuto di Dio e della Chiesa cercherò di portare avanti. Non è finito il percorso, anzi, ma questa è una conferma per andare avanti. La Chiesa mi abbraccia e mi dice di iniziare questa strada di discernimento insieme. Un percorso che non finirà mai».
C’è qualcuno a cui ti ispiri?
«Mi ispiro a Gesù e alla Madonna, come ha ricordato il Vescovo. Dei santi, cito il nostro amato Don Bosco. In diocesi ho diversi riferimenti: don Santiago Ortiz che mi ha accompagnato, lo ringrazio tanto per le sue capacità spirituali; e don Giuseppe Bodrati, per la sua saggezza umana e spirituale. Ne cito soltanto due, ma ogni sacerdote della diocesi mi ha insegnato qualcosa che porto con me».
Alessandro Venticinque