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Il Collegio Santa Chiara presenta “Eppur si muove”

Al via il nuovo percorso formativo in cui i ragazzi e le ragazze possono
scegliere tra quattro “laboratori” pratici. Che puntano più in alto…

Il percorso formativo del Collegio Santa Chiara cambia volto. E nome: si chiamerà “Eppur si muove”. Non più incontri frontali con tutti gli studenti riuniti insieme, ma quattro diverse possibilità che ogni studente potrà scegliere in base a ciò che desidera approfondire: sono percorsi incentrati sul “fare”, che permettono però di stare con i ragazzi in un modo diverso, più aperto alla possibilità di sentire davvero la voce di ognuno di loro. La direttrice Carlotta Testa (nella foto di copertina) ci racconta tutte le novità. E soprattutto il perché di questo cambiamento.

Carlotta, parlaci di queste quattro nuove proposte che avete pensato per i ragazzi.

«Il percorso formativo del Collegio Santa Chiara per questo nuovo anno accademico cambia volto. Dopo una serie di riflessioni, abbiamo deciso di cambiare le carte in tavola: abbiamo rinnovato il percorso, che non è più un cammino unico uguale per tutti, ma è personalizzato. Ci saranno alcuni appuntamenti collettivi, tra cui una giornata a contatto con la natura, a giugno, che consisterà in una tappa del Cammino di San Marco in canoa; ma poi ogni ragazzo può scegliere quale percorso seguire durante l’anno. Gli studenti avranno a disposizione quattro proposte formative: saranno divisi per gruppi a seconda delle scelte effettuate, e ogni mese avranno un appuntamento con il formatore del percorso. La prima proposta, basata sui linguaggi dell’arte, si chiama “Sketchbook vs Instagram”: sei incontri durante l’anno con un illustratore e visual artist di Alessandria, Andrea Musso. I ragazzi si metteranno in gioco attraverso il disegno con schizzi su carta fatti a mano e, accompagnati da Andrea, proveranno a unire in un grafico unico un’immagine da loro elaborata, che verrà stampata con il torchio su una maglietta che rimarrà poi alla conclusione del percorso. La seconda opzione è “Mani che servono”, una proposta formativa che mette al centro il servizio al prossimo. I ragazzi, sempre in sei appuntamenti durante l’anno, accompagnati da me e da alcuni volontari Caritas, si occuperanno di preparare i pasti per i più bisognosi e di distribuirli nelle due sedi a servizio dei poveri della diocesi, la mensa di Casa San Francesco e la sede Caritas di via delle Orfanelle. La terza proposta è intitolata “Podcasting” ed è un laboratorio, sempre di sei incontri nel corso dell’anno, dove i ragazzi penseranno e studieranno la realizzazione di un podcast di Collegio coordinati e supportati da Enzo Governale, direttore delle comunicazioni sociali della nostra diocesi. L’ultima, invece, è intitolata “Dare voce alle emozioni”, dove i ragazzi, guidati da Davide Sannia, attore ed esperto di teatro sociale, impareranno a lavorare sulle emozioni esprimendo sé stessi attraverso linguaggi e tecniche teatrali».

Perché questo passaggio da incontri frontali a un percorso di tipo pratico e laboratoriale? Che pensiero educativo c’è dietro questa scelta?

«Abbiamo deciso di cambiare il volto del percorso formativo perché in questi primi anni abbiamo sperimentato delle proposte sempre curate, ma che in fondo avevano la stessa modalità: incontri frontali con tutti gli studenti insieme, a cadenza mensile, accomunati da un filo conduttore. Ci siamo però resi conto che non era così scontato riuscire a coinvolgere gli studenti del Collegio, intercettare il loro interesse e anche il loro tempo; è iniziato così un processo di analisi e di confronto anche con le esperienze di altri collegi, che voleva rispondere a questa domanda: “Come fare meglio? Come crescere per i ragazzi e con i ragazzi?”. Siamo arrivati a comprendere che era necessario dare l’opportunità agli studenti di fare un passo: di compiere una scelta, per permettere loro di partecipare a un percorso non uniforme ma responsabilmente scelto in base ai desideri e alle attitudini di ciascuno. Scegliere significa mettersi in gioco con un certo grado di responsabilità, significa pensare cosa mi potrebbe arricchire, cosa vorrei sperimentare: una volta che ho scelto, mi assumo poi l’impegno di vivere il più seriamente possibile il percorso nel quale mi sono fatto coinvolgere. Così siamo arrivati a questa proposta, che vuole tenere al centro alcuni elementi: innanzitutto, un lavoro formativo sulle “soft skills”, le competenze trasversali: ecco perché abbiamo giocato su più piani, l’arte, il teatro, il volontariato e la comunicazione. Un altro elemento fondante è quello del prendersi un impegno, cioè del far parte di un progetto attraverso un’esperienza concreta. Il pensiero educativo dietro a questa nuova proposta è l’attenzione allo studente: abbiamo pensato di integrare il percorso universitario dei ragazzi con altre proposte formative che possano giocare su diversi piani della persona, per accompagnarli in occasioni di scoperta e crescita».

Come hanno accolto i ragazzi questa novità?

«Lunedì 14 ottobre abbiamo avviato il nuovo anno accademico di Collegio con un incontro con tutti gli studenti e abbiamo anche presentato il nuovo percorso formativo. Devo dire che le impressioni a caldo sono state davvero ottime: in generale, tutti hanno accolto molto positivamente la possibilità di scegliere. Mi pare di aver colto anche l’entusiasmo del potersi orientare tra qualcosa paradossalmente molto lontano dai loro percorsi strettamente didattici: le domande che hanno posto erano relative ai vari linguaggi che entrano in campo in questi percorsi formativi e su quanto dovessero essere più o meno preparati per accedervi. Il bello delle proposte è che tutti possono prendervi parte senza alcuna distinzione di capacità: non servono competenze di base per poter partecipare a una proposta, serve semplicemente la disponibilità a fare un cammino in quella direzione. In questa settimana abbiamo raccolto le adesioni degli studenti: che gioia vedere come alcuni ragazzi hanno deciso di mettersi in gioco in più di una proposta oltre a quella richiesta! Mi sembra un ottimo segno. Rispetto agli altri anni ci siamo anche domandati più volte se questo percorso formativo non togliesse uno spazio vitale e importante ai ragazzi, che era quello di parlarsi intorno a un tavolo, di farsi domande, di dirsi le cose anche rispetto alla vita della comunità».

E a questa domanda che risposta vi siete dati?

«Posso dire, soprattutto in base alla mia esperienza di Collegio, che in realtà il fare, il dedicarsi a qualcosa, se è vissuto come un tempo di comunione diventa poi l’occasione in cui confrontarsi su temi di senso della vita. Ho lasciato un po’ andare attraverso questo percorso formativo il mio bisogno di sicurezza, per cui per dire ai giovani le cose che ritengo fondamentali e salvifiche per la loro vita devo convocarli. Purtroppo questo modus operandi non funziona, o meglio non basta: lo sperimentiamo tutti i giorni anche nella scuola. L’annuncio più forte e autentico è nel quotidiano: in coda al supermercato, davanti a un caffè o a un barattolo di caramelle, o in un pomeriggio in cui la voglia di studiare sembra svanita. Così, stare con i ragazzi offrendo loro opportunità di crescita e di formazione che li coinvolgano attraverso la fantasia, l’arte e la comunicazione, è usare questo tempo per crescere nella relazione, per suscitare domande e cercare con loro le risposte».

In che modo è possibile rispondere alle loro grandi domande con questa nuova modalità?

«Chiaramente costruendo relazioni: la chiave di tutto è sempre esserci per questi ragazzi. Non tutti passano in segreteria per il caffè, ma spero che sappiano che ci sarà sempre una tazzina per tutti. Relazioni, dunque, e attesa: un’altra parola chiave. Bisogna avere una fiduciosa attesa, essere pronti perché quando qualcosa in un giovane si muove o si blocca, non deve affrontarlo da solo. Quando arrivano le grandi domande o i dubbi esistenziali, il Collegio è un luogo dove trovare qualcuno che ti aiuti a rispondere».

Zelia Pastore

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