«I giovani? Sono chiamati a qualcosa di importante»

Parla don Mauro Mergola, responsabile della pastorale giovanile diocesana

 

Don Mauro Mergola, responsabile della pastorale giovanile diocesana, ha fatto visita ai centri estivi delle nostre unità pastorali. Un’occasione per conoscere e farsi conoscere meglio da tutte le realtà, in un’estate ricca di eventi per i ragazzi della nostra Diocesi, tra centri estivi, proposte educative e il Giubileo dei Giovani, che si terrà a Roma dal 29 luglio al 3 agosto. «Ho visitato dieci centri estivi, con in media una settantina di presenze tra ragazzi e animatori, e con un servizio che va da quattro a sette settimane. E quasi tutti fanno anche un campo formativo» inizia a raccontare il sacerdote salesiano.

Don Mauro, come è andata?

«Come ufficio di pastorale giovanile c’era il desiderio di far percepire a sacerdoti, laici e giovani che il Vescovo e i suoi collaboratori sono vicini e condividono il loro servizio. I centri estivi propongono una offerta pastorale importante: se fatti in parrocchia, non sono solo un’attività di animazione ma anche di fede. La mia visita voleva essere un segno di vicinanza, un’opportunità per acquisire la consapevolezza del bene che c’è e conoscere le realtà del territorio. Realtà che, essendo dislocate in zone differenti, offrono modalità e proposte diverse, pur con lo stesso fine. L’attività estiva non è un pezzo estraneo all’attività pastorale di tutto l’anno: la logica è provare ad avviare, in modo strutturato, una riflessione pastorale su questo servizio che, grazie a Dio, si rinnova di anno in anno e coinvolge tante persone».

Cosa hai visto?

«Ho visto dei sacerdoti impegnati, che hanno il desiderio di stare con i ragazzi. Una bella presenza, anche carica di gioia, che non fa male sottolineare. Poi ho visto tanti laici, adulti e giovani, che condividono questo servizio, con passione, dedizione e sacrificio. Sommando tutti i ragazzi che vengono incontrati, nelle varie settimane, il numero non è affatto piccolo, in proporzione al nostro territorio. Questo dice che la Chiesa, attraverso le sue espressioni, garantisce ancora una presenza che è conosciuta, apprezzata e ha qualcosa da dire».

Che giovani hai incontrato?

«Giovani che vogliono sporcarsi le mani. Alcuni di loro hanno fatto del centro estivo un’esperienza professionale, in cui hanno cercato di mettere insieme la garanzia di una presenza stabile, strutturata e responsabile, richiesta da chi riceve un riconoscimento economico, con una passione che genera coinvolgimento e risorse. Poi ci sono i giovani del Pcto (Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento, ndr): per loro l’obiettivo non è solo dare un contributo e migliorare le proprie capacità, ma anche conoscere una Chiesa che possa farli sentire accolti e accompagnati. Ci sono giovani che hanno cercato di mettere insieme lavoro e tempo libero donato nel servizio dei centri estivi. E giovani che hanno fatto un percorso di formazione, durante l’anno, e insieme ai loro sacerdoti hanno vissuto un tempo di crescita spirituale, nel servizio e nell’adesione alla parrocchia».

I centri estivi sono un’esperienza di fede?

«Fatti in parrocchia, hanno questa intenzionalità. Non è automatico dire: “È un centro estivo parrocchiale, quindi è un’esperienza di fede”. Tutto ciò che si fa in un centro estivo, come in oratorio o nella realtà parrocchiale, dall’animazione alla celebrazione e alla formazione, può diventare un’esperienza di fede. In questo si inserisce la qualità delle relazione, tra gli adulti e i giovani ragazzi. Ma anche la qualità della formazione educativa e pastorale, che viene proposta a coloro i quali si assumono questa responsabilità. Quindi può diventare una bella esperienza di fede, può suscitare domande e far percepire la vicinanza del Signore, molto di più rispetto a tante altre occasioni».

Domenica 6 luglio, per la prima volta in Diocesi di Alessandria, si è svolta la festa degli animatori dei centri estivi.

«È stata una iniziativa voluta da sacerdoti e da laici, partita alcuni mesi fa, per far percepire agli animatori di essere parte di una comunità più grande, che è la Diocesi, aumentare il desiderio di condivisione delle singole esperienze e offrire l’opportunità di vivere un momento di festa. Hanno partecipato una cinquantina di animatori di quattro unità pastorali: c’è stato un momento di formazione, di ascolto e condivisione; poi vari momenti di gioco, con tornei e musica. Si è creato un clima di affiatamento e conoscenza, generando in tutti il desiderio di ritrovarsi, con la speranza di poter coinvolgere sempre di più anche altre parrocchie. Da queste esperienze è emersa la necessità di trasformare i centri estivi in un’opportunità di tirocinio formativo, utile anche in ambito scolastico e orientativo, valutando le competenze trasversali che maturano attraverso questo servizio. I centri estivi diventano una palestra straordinaria, ma noi dobbiamo avere la capacità di trasformarli, da una lettura puramente di servizio ecclesiale, in qualcosa che permetta di utilizzare queste competenze in un futuro ambito lavorativo».

Tra pochi giorni i ragazzi della Diocesi partiranno per il Giubileo dei Giovani. Cosa ti senti di dire?

«Di non dimenticarsi che si è pellegrini e non turisti. Le vicende storiche di questo tempo ce lo ricordano, con tutti i cambiamenti che stiamo vivendo a livello organizzativo. Se penso al Giubileo degli Adolescenti di aprile, tra la morte del Papa e programmi cambiati, ci hanno ricordato proprio questo. Anche il Giubileo dei Giovani porterà situazioni di precarietà, per cui dobbiamo ricordarci di essere pellegrini di speranza per rinnovare la nostra adesione al Signore, la nostra riconoscenza di far parte della Chiesa, per riscostruire rapporti di riconciliazione con il Signore e tra di noi. Per chi non partecipa al Giubileo l’invito è di rimanere aggiornati, soprattutto su ciò che papa Leone dirà ai giovani. E individuare anche dei tempi forti in cui ci si lasci provocare dalle domande importanti della vita. So che alcuni giovani parteciperanno al festival di Medjugorje, ad agosto, una bella esperienza spirituale, mentre altri saranno ai campi scout Agesci, come servizio e come comunità capi. L’invito è che non rimangano delle esperienze emotive, ma che generino il desiderio di avviare un progetto di vita, chiedendo al Signore: “Aiutami a capire per chi è la mia vita, e come questa esperienza che sto vivendo mi aiuta a mettermi in gioco”. Le esperienze straordinarie sono salutari quando danno qualità alla nostra vita ordinaria e ci aiutano a orientarci nelle decisioni importanti. Un frutto prezioso può essere il desiderio di trovare un accompagnatore spirituale o un adulto con il quale confrontarsi per rileggere momenti importanti di questo periodo, per capire come orientarsi. Tutto questo, per evitare il “turismo religioso”, oppure di consumare anche le cose più belle, ma “tritate” tra altre esperienze».

Cosa sogni per la pastorale giovanile?

«Che cresca sempre di più una consapevolezza comunitaria. Il soggetto dell’azione pastorale della Chiesa non è una singola persona, ma è una comunità di credenti che, secondo la propria vocazione, crea una sensibilità di accoglienza e di accompagnamento per i giovani. Significa che sacerdoti, religiosi e laici condividono una progettualità e un cammino in cui ci si mette in ascolto del territorio e dei giovani, per essere delle comunità significative. Da un punto di vista operativo, bisognerebbe ipotizzare un percorso annuale, strutturato, in cui tutte le proposte delle realtà ecclesiali, afferenti al mondo giovanile e presenti nella Chiesa locale, facciano conoscere le loro iniziative. E, come Diocesi, offrire proposte formative secondo le tipologie di età e sensibilità di ragazzi. Per passare da una pastorale di soli eventi a una pastorale di accompagnamento».

Come si realizza questo passaggio?

«Bisogna volerlo. Ci vuole il coraggio di fare delle proposte che abbiano una visione, una prospettiva, e che parlino al cuore delle persone. Richiede capacità di riflettere e organizzare delle iniziative insieme “con” i giovani, e non solo “per” i giovani. Evitando la tentazione di cercare facili ricette, oppure avere come unico criterio quello numerico e dell’immagine. I giovani vanno là dove trovano persone che hanno a cuore la loro gioia e sanno generare in loro il desiderio di sentirsi apprezzati e chiamati a qualcosa di importante. I giovani vanno là dove si intercetta la fragilità e la povertà dei nostri territori, cercando di dare aiuto e sostegno. Dove si dà un’attenzione al mondo delle povertà, i giovani rispondono. E su questo dovremmo riflettere».

Alessandro Venticinque

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