«È passata un’onda di tsunami. Ma guardiamo avanti, per capire se ne arriverà un’altra»
«Negli ultimi giorni, l’accordo sull’inizio del processo di pace ha regalato una scintilla di speranza in Terra Santa. Incoraggio le parti coinvolte a proseguire con coraggio il percorso tracciato, verso una pace giusta, duratura e rispettosa delle legittime aspirazioni del popolo israeliano e del popolo palestinese».
Le parole di papa Leone, durante l’Angelus di domenica 12 ottobre, arrivano il giorno prima della firma dell’accordo di pace tra Israele e Palestina. Nella giornata di lunedì 13, infatti, dopo il rilascio da parte di Hamas dei 20 ostaggi israeliani vivi e la liberazione dei 1.968 detenuti palestinesi, il presidente statunitense Donald Trump ha sottoscritto l’accordo di pace a Sharm el Sheikh, in Egitto. Dopo 738 giorni fatti di guerra, violenza e fame.
«Due anni di conflitto hanno lasciato ovunque morte e macerie, soprattutto nel cuore di chi ha perso brutalmente i figli, i genitori, gli amici, ogni cosa. Con tutta la Chiesa sono vicino al vostro immenso dolore. Oggi soprattutto a voi è rivolta la carezza del Signore, la certezza che, anche nel buio più nero, Egli resta sempre con noi: “Dilexi te – Ti ho amato”. A Dio, unica Pace dell’umanità, chiediamo di guarire tutte le ferite e di aiutare con la sua grazia a compiere ciò che umanamente ora sembra impossibile: riscoprire che l’altro non è un nemico, ma un fratello a cui guardare, perdonare, offrire la speranza della riconciliazione» ha aggiunto il Pontefice all’Angelus domenicale.
PIZZABALLA
A commentare la notizia dell’accordo di pace, anche il cardinal Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme: «Indubbiamente è una bella notizia. La strada verso la pace è lunga ma bisogna cominciare in qualche modo. Questi gesti, soprattutto la liberazione degli ostaggi e dei prigionieri, il parziale, almeno iniziale ritiro dell’esercito israeliano, danno quella fiducia necessaria per continuare». Il porporato ha poi aggiunto: «Gli ostacoli saranno tanti però dobbiamo cominciare a scrivere una nuova pagina, quindi siamo molto contenti di quello che sta accadendo, dobbiamo gioire di questo. Naturalmente ci sarà ancora molto da fare. Questo nuovo spirito ha portato un nuovo atteggiamento dentro le istituzioni e penso anche che, da punto di vista della scuola, dell’aiuto sanitario, dei viveri, sarà una fase nuova. Ce lo auguriamo».
IELPO
Un appello accorato, rilasciato ai microfoni dei media vaticani, dal Custode di Terra Santa, padre Francesco Ielpo: «Continuiamo a pregare perché ci siano soluzioni sempre più diplomatiche, politiche che portino davvero una riconciliazione. Non abbandonateci, perché adesso è proprio il tempo più difficile di ricostruire, di ricominciare a ricostruire i cuori, riconciliare i cuori e cominciare a lavorare, perché ci sia davvero una possibilità ancora di convivenza. Dopo due anni di guerra, i Luoghi santi sono tristemente deserti. L’attività della Custodia continua a mantenerli vivi attraverso la nostra presenza, la nostra preghiera, le nostre liturgie e l’accoglienza di quei pochi gruppi che, nonostante tutto, continuano a venire e che sono sempre i benvenuti. C’è la tristezza di vedere questi luoghi vuoti, deserti, ma nello stesso tempo la nostra fedeltà alla prima missione che ci è stata affidata, che è quella di custodire questi luoghi e di pregare in questi luoghi per tutta l’umanità».
ROMANELLI
«Ci sentiamo come dopo che è passata un’onda di tsunami. Ci sono i detriti alle nostre spalle e noi guardiamo avanti, cercando di capire se ne arriverà un’altra» ha raccontato padre Gabriel Romanelli, della chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, in un’intervista a “Repubblica”. «La priorità è la scuola: i bambini hanno perso tre anni scolastici. I primi due siamo riusciti a portarli avanti, ma solo per quelli che erano qui dentro la parrocchia. I ragazzi che venivano nelle nostre scuole da fuori sono rimasti senza istruzione: dovranno recuperare, ma non ci sono più scuole e non ci sono più tutti gli allievi, perché sono morti. La scuola è il futuro».
I primi aiuti «stanno arrivando. Il Patriarcato latino di Gerusalemme è riuscito a farci recapitare qualche aiuto già due giorni fa: frutta e verdura fresche qui non si vedevano da tanto. Iniziamo ora a distribuirle alle famiglie intorno a noi. Poi bisognerà guardare alle case, perché queste ultime settimane hanno fatto danni enormi qui a Gaza City». Poi Romanelli cita un episodio emblematico, chi si era spinto fino al mercato è tornato pieno di stupore: «Sono tornati correndo, per dirmi che c’era un pollo… un pollo! Qui non ne vediamo da due anni! Comunque non lo abbiamo comprato, costava troppo e di sicuro non bastava per tutti».
ZELAZKO
«Oggi non festeggiamo solo la liberazione degli ostaggi ma anche la risurrezione della speranza»: così padre Piotr Zelazko, vicario patriarcale del Vicariato di San Giacomo per i cattolici di espressione ebraica, commenta il rilascio dei 20 ostaggi israeliani, detenuti da Hamas nella Striscia di Gaza. «Sto seguendo la diretta televisiva delle fasi del rilascio» ha raccontato ad AgenSir il vicario, che guida sette comunità cattoliche di lingua ebraica in Israele. «Sono particolarmente emozionato nel vedere anche Alon Ohel, adesso 24 anni, rapito il 7 ottobre al Nova Festival. Sono in contatto con i genitori di questo giovane, che per me ha il volto di tutti gli ostaggi. Mi è capitato di pregare insieme al suo papà e alla sua mamma: non sono cristiani, ma siamo vicini spiritualmente. Con le nostre comunità abbiamo pregato molto in questo tempo per queste persone, affinché tornassero alle loro famiglie e nelle loro case».
CINQUEMILA ANTIBIOTICI PER GAZA
Mentre l’accordo è stato raggiunto, si sta mettendo in moto la macchina degli aiuti. Anche papa Leone, attraverso l’Elemosineria apostolica (il “pronto soccorso” del Santo Padre), ha inviato a Gaza cinquemila antibiotici destinati ai bambini, tra le vittime più colpite dai due anni di conflitto. Un gesto possibile grazie all’apertura dei valichi attraverso i quali portare gli aiuti umanitari destinati alla popolazione della Striscia di Gaza. «Diamo seguito alle parole contenute nell’Esortazione apostolica Dilexi te dedicata ai poveri perché è necessario fare i fatti, dare attenzione a chi è nel bisogno» afferma il cardinale Konrad Krajewski, prefetto del Dicastero per il Servizio della Carità. Attraverso il Patriarcato Latino di Gerusalemme, gli antibiotici inviati sono già stati distribuiti a chi ne ha necessità. L’elemosiniere ricorda che, negli anni della guerra, si è cercato comunque di aiutare attraverso l’invio di denaro da destinare all’acquisto di viveri e gasolio.
UCRAINA
Ma la carità del Papa non si ferma nemmeno dinanzi al conflitto in Ucraina, che prosegue senza tregua. Dopo tante missioni per portare aiuti, generatori di corrente, abbigliamento termico per contrastare il freddo, l’Elemosineria ha continuato a sostenere la Basilica di Santa Sofia a Roma, “la chiesa degli ucraini”, attiva nel supporto umanitario nel Paese dell’est Europa, da qui infatti partono costantemente tir carichi di beni di prima necessità. Nei giorni scorsi a Kharkiv sono arrivati pacchi bianchi contrassegnati dalle bandiere vaticana e ucraina e dalla scritta, sempre in italiano e in ucraino, “Dono di Papa Leone XIV alla popolazione di Kharkiv”. All’interno ci sono cibo in scatola, olio, pasta, carne e anche prodotti detergenti. È il modo in cui il Pontefice si fa prossimo alle sofferenze e al dolore di un popolo, fiaccato da anni di guerra, che ancora non intravede la luce della pace.