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Le strade cinesi deserte durante il "lockdown"

«In quarantena a Shenzhen ho avuto davvero paura»

Come vivono il virus all’estero?

L’alessandrina Virginia Gatti in Asia con “Au Pair”

Secondo quanto riportano i media l’emergenza Covid-19 in Cina sta, poco alla volta, rientrando. Ma le settimane appena trascorse sono state difficili e piene di paura anche per il Paese asiatico. Come sono stati quei giorni ce li siamo fatti raccontare da Virginia Gatti, (in foto qui sotto) 20enne alessandrina, che dallo scorso agosto è a Shenzhen con il progetto “Au Pair – Ragazzi alla pari”. Virginia è rientrata in Italia a fine febbraio. Dopo aver trascorso qualche settimana anche in Corea del Sud, nel periodo più difficile a causa del virus. Ma partiamo dall’inizio…

Virginia, che cosa ci facevi in Cina?
«Dallo scorso agosto ero in Cina per “Au Pair – Ragazzi alla pari”, il progetto di “World education program” che mi ha permesso di vivere a Shenzhen, facendo la tutor d’inglese alla bambina della famiglia che mi ospitava e studiando il cinese. Da programma dovevo restare in Cina per un anno, ma sono riuscita a fare solo sei mesi. Sia perché dovevo rinnovare il visto, che dura appunto mezzo anno, ma anche perché a febbraio il coronavirus in Cina è diventato una questione davvero seria. Ero preoccupata e ho deciso di tornare a casa».

Sei stata anche in Corea del Sud?
«Sì, in Corea ci sono andata come turista, sia prima di arrivare in Cina che prima di tornare in Italia. A febbraio c’erano pochissimi casi di coronavirus, e quasi nessuno usava la mascherina. Ma quando me ne sono andata il numero dei contagiati è cresciuto di molto, e giorno dopo giorno la paura aumentava».

Torniamo alla Cina, come hai vissuto questa emergenza?
«All’inizio non si capiva la gravità del virus, era qualcosa di nuovo. Personalmente facevo fatica anche a informarmi, per una straniera non è per nulla facile. La mia quarantena è iniziata il 23 gennaio; e fino al 10 febbraio, quando sono partita per la Corea, sono rimasta barricata in casa».

Ci racconti quelle settimane?
«Nel primo periodo sono circolate notizie e video che hanno aumentato la paura di tutti. Io ero davvero spaventata a morte. Su internet ho visto dei filmati agghiaccianti: medici presi dal panico che accatastavano i morti da coronavirus nei corridoi degli ospedali, in mezzo ai contagiati o alle persone che dovevano essere ancora visitate. Anche a Shenzhen quasi per una settimana la maggior parte dei supermercati non avevano cibo. Stessa cosa per le mascherine. E questo per quasi tutte le grandi città cinesi».

In Corea, invece?
«La situazione era ben diversa, per fortuna non sono dovuta stare in quarantena. Ho viaggiato e sono stata in posti turistici ma con le dovute precauzioni. Negli ultimi giorni, con l’aumentare dei casi, ho evitato luoghi affollati come metro, bar e ristoranti».

Com’è la situazione adesso in questi due Paesi?
«La situazione in Cina sta migliorando molto. A parer mio, entro la fine di marzo tornerà quasi tutto alla normalità. Le persone stanno ritornando a lavorare e a girare per strada. In Corea la situazione è stabile, ma alcuni miei amici mi raccontano che la maggior parte delle persone resta a casa comunque».

Tu invece hai avuto problemi per tornare a casa?
«Fortunatamente no. Ma c’è mancato davvero poco… Se avessi preso l’aereo dieci giorni dopo, non sarei potuta tornare per la chiusura delle frontiere da parte della Corea».

Disinfezione delle strade in Corea del Sud

Sei stata sottoposta a controlli medici?
«Mi aspettavo un sacco di controlli in Italia, proprio perché venivo da due Paesi ad alto rischio. A dir la verità mi hanno controllato la temperatura una volta sola, ma non mi hanno fatto nessuna domanda. Quando dalla Cina sono andata in Corea mi hanno misurato la febbre almeno dieci volte. Appena arrivata in aeroporto hanno diviso le persone provenienti dalla Cina da tutti gli altri passeggeri, mettendoci dei cartellini al collo. Ci hanno fatto compilare dei questionari, e attraverso un’applicazione abbiamo effettuato un’autodiagnosi per vedere se presentavamo i sintomi del virus. In più dovevamo rilasciare il nostro numero di telefono, perché dopo una settimana venivi contattato per informare sulle tue condizioni di salute. Ovviamente tutto questo era obbligatorio, altrimenti non entravi nel Paese».

Secondo te, come si stanno comportando gli italiani rispetto ai Paesi in cui sei stata?
«C’è una differenza abissale. Ai cinesi e coreani non è servito un richiamo per stare a casa, si sono dimostrati dei cittadini davvero responsabili. Li invidio davvero tanto… Durante il mio soggiorno in Cina ho capito quanto le persone tengano al loro Paese. In questa occasione non si sono dimostrarti egoisti, cosa che alcuni italiani fanno. Ritenendo che sia più importante fare una passeggiata o incontrare gli amici, piuttosto che fare dei sacrifici per un breve periodo per poi ritornare alla normalità».

Alessandro Venticinque

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