“La testa e la pancia” di Silvio Bolloli
Diatribe sul futuro della Serie A
Mentre l’emergenza Covid-19 imperversa più intensa che mai condizionando la nostra vita e le nostre abitudini in un modo che quasi nessuno di noi ha conosciuto – essendo oramai pochi i superstiti, consapevoli, degli anni della Seconda Guerra Mondiale – anche lo sport è stato inevitabilmente coinvolto e non solo sul piano nazionale ma a livello globale, sia geograficamente che disciplinarmente.
E così, se da un lato fa effetto leggere i tabelloni della Bundesliga, della Ligue 1, della Liga e della Premier League desolatamente bloccati, anche la Formula 1 ha annunciato la partenza (se tutto andrà bene) con tre mesi di ritardo e adesso si discute persino di uno slittamento delle Olimpiadi (che, mera coincidenza, dovrebbero disputarsi a Tokyo come quelle del 1940 che furono annullate).
In questo ambito, a parte alcune bizzarre dichiarazioni tipo quelle del presidente bielorusso Lukashenko secondo cui bastano molte saune, tanto lavoro e un po’ di vodka per sconfiggere l’odiato virus, mi hanno piuttosto colpito i comportamenti di alcuni illustri presidenti di Serie A (su tutti il laziale Lotito e il partenopeo De Laurentiis) che, in completa controtendenza rispetto al momento, hanno annunciato la volontà di far riprendere gli allenamenti ai loro uomini.
Mi è, di contro, molto piaciuta, al riguardo, la diretta e sincera risposta del presidente torinista Urbano Cairo il quale, oltre a dissentire dai colleghi, ha avuto l’onestà intellettuale di affermare che si augura che dietro tutto questo non ci sia la solita italica furbata di voler fare trovare i propri giocatori in migliori condizioni fisico-atletiche alla ripresa delle competizioni.
Non sono un medico ma, in un momento in cui si consiglia di mantenere distanze di sicurezza anche dai propri più stretti congiunti e vi sono persone che muoiono senza poter abbracciarli ed in cui perfino un giocatore carismatico come il “Papu” Gomez si è sentito in dovere di affermare quanto possa essere stata devastante, in termini di contagio, una partita quale quella di Champions League dell’Atalanta a San Siro (con un giocatore in campo, paradossalmente non bergamasco ma valenciano, positivo), ecco che anche solo il fatto d’ipotizzare una ripresa degli allenamenti, con giocatori chiamati a condividere lo spogliatoi e a operare a distanza ravvicinatissima gli uni dagli altri, può esser considerato un comportamento irresponsabile.
Poniamo, tuttavia, che non lo sia perché magari gli atleti sono stati tutti regolarmente “tamponati” e risultano perfettamente sani: ebbene, sarebbe comunque, a sommesso avviso di chi scrive, una posizione deprecabile in un contesto in cui occorrerebbe dare il buon esempio nello starsene a casa al pari della stragrande maggioranza degli italiani, molti dei quali hanno dovuto abbassare la serranda sperando di poterla un giorno risollevare ( e ciò a differenza dei vip della Serie A, e dei loro illustri presidenti).