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Il calcio degli squilibri tra presente e futuro

“La testa e la pancia” di Silvio Bolloli

Qualcuno si domanda che differenza ci sia tra una Serie A che scalpita dalla voglia di ricominciare ed una C che, di contro, pare avere accettato fin troppo passivamente i diktat delle autorità federali (ancor prima che divenissero tali) mostrandosi assai accondiscendente rispetto alla fine prematura del Campionato 2019/2020.

A cosa si deve una simile disparità di reazioni? Forse a qualcuno può sfuggire quanto Serie A e C, in Italia ma credo anche altrove, siano due pianeti sideralmente distanti l’uno dall’altro, pressoché incomunicabili. Mi spiego meglio: la Serie A è una azienda multimilionaria, sarebbe forse più opportuno dire multi-miliardaria (ovviamente in euro), idonea a mobilitare un impressionante giro d’affari con conseguente, gigantesco, ricircolo di denari tra stipendi talora incredibili (dei giocatori, soprattutto) ed entrate altrettanto incredibili tra sponsorizzazioni e diritti televisivi. Una voce minoritaria, per quanto non trascurabile, è poi quella del capitolo incassi, comunque molto importanti e assolutamente non paragonabili rispetto alle poche decine di migliaia di euro di un comune stadio di Serie C (magari pieno).

È allora evidente che, in un contesto di tal fatta, la sola idea di fermare il gigantesco giocattolo potrebbe determinare un impatto economico di enorme portata che, a conti fatti, non gioverebbe a nessuno anche perché i calciatori seguitano a rivendicare il pagamento delle proprie retribuzioni, dimostrandosi piuttosto recalcitranti all’idea di una loro decurtazione, mentre i giganti televisivi – Sky in primis – chiedono insistentemente sconti che, se non ottenuti, li fanno sentir legittimati a sospendere i pagamenti dei diritti alle Società sportive secondo la logica d’una giustizia fai-da-te.

Adesso è forse più chiaro il contegno serbato da certi presidenti – De Laurentiis e Lotito su tutti – per nulla entusiasti all’idea di dover continuare a pagare gli stipendi ai loro portabandiera senza gli incassi del pubblico e i sontuosi contributi dei grandi network. E in Serie C?

Qui la situazione è totalmente diversa, equiparabile a quella d’una formica rispetto a un elefante poiché, se risibili sono i proventi derivanti da incassi e diritti radiotelevisivi, alla fin fine, per stare a galla, i poveri presidenti si trovano costretti a barcamenarsi tra sponsorizzazioni e movimentazioni dei giocatori fra situazioni talora poco cristalline ed eccezioni più uniche che rare quali quelle di chi (come il “nostro” Luca Di Masi), senz’altro fine, è esclusivamente animato dal sacro fuoco della passione, perciò da tenersi ben stretto…

Chiaro dunque che, se pure anche in Terza Serie i giocatori rivendicano il pagamento dei propri emolumenti, la prospettiva d’uno stop del carrozzone appare assai meno tragica che non in Serie A. Ecco quindi spiegato il diverso atteggiamento delle società che, last but not least, e per ovvie ragioni strutturali, avrebbero pure serie difficoltà a rispettare un protocollo rigido quale quello fino ad ora imposto dalla Federcalcio. Intanto la Serie B versa in una situazione ancor differente, stretta tra la faraonica A ed una C che, già oggetto di robuste cure dimagranti in passato (con il passaggio dai sei gironi in due categorie ai tre d’una sola), sarà quasi certamente destinata ad un ulteriore ridimensionamento che potrebbe perfin condurla ad una sorta di semi-professionismo.

Insomma, il nostro sempre amato calcio segue in tutto l’andamento schizofrenico di questi tempi in cui, a fronte di grandi ricchezze, la maggiore parte della popolazione fatica a sbarcare il lunario e quella giusta linea di demarcazione e di equilibrio tra ricchezza e povertà pare essersi smarrita.

Ed allora non ci resta che sperare che il futuro, unitamente ad una sana dose di buon senso, sia anche foriero di maggiore equità.

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