“La testa e la pancia” di Silvio Bolloli
L’esordio del nuovo allenatore dell’Alessandria, Moreno Longo, è andato come meglio non ci si sarebbe potuti augurare, perlomeno nella statistica: tre punti conquistati, vittoria non di misura e neppure una rete al passivo. In realtà, a chiunque abbia osservato la partita di domenica non può essere sfuggito quanto i Grigi debbano ancora progredire dal punto di vista di un gioco che si fa fatica a definire tale, ma è chiaro che non si può gettare la croce addosso a un coach arrivato solo pochi giorni fa e che non ha ancora potuto imporre le sue idee e la sua mentalità. Ma stavolta non voglio parlare di calcio giocato bensì di qualcos’altro che mi ha colpito.
L’Alessandria, infatti, ha schierato fin dall’inizio due dei nuovi acquisti dell’ultima finestra di mercato, quella che gli addetti ai lavori definiscono “di riparazione”, perché si esaurisce nel mese di gennaio: alludo ai centrocampisti Bruccini e Giorno. Nel secondo tempo, c’è poi stato spazio per l’unico elemento veramente di talento delle new entry, alludo all’esterno Mustacchio (uno che ha alle spalle diverse stagioni in Serie A ed ha persino indossato il colore Azzurro della Nazionale), che si è fatto immediatamente riconoscere servendo su un piatto d’argento a Riccardo Chiarello il pallone dell’1-0 permettendo all’Alessandria di rompere il ghiaccio e aprirsi la strada verso una vittoria importante. Simili considerazioni non si possono effettuare con riguardo agli altri due centrocampisti nonché dell’attaccante Stanco che, per essere punta, ha sempre segnato poco in carriera, ed ha beneficiato di uno scampolo di secondo tempo. Mi è sorta spontanea una domanda: era così indispensabile prendere cinque giocatori, quattro dei quali si riveleranno quasi certamente non risolutivi, per una formazione che ha bisogno di trovare certezze e automatismi piuttosto che rivoluzioni?
Da quando seguo la Serie C mi ha sempre lasciato sorpreso il grande stravolgimento di uomini che scandisce i tempi delle formazioni di anno in anno e che l’esperienza insegna essere in molti casi inutili: vuoi perché i nuovi arrivati non di qualità superiore rispetto ai partenti, vuoi perché, talvolta, non si da, agli elementi giusti, il tempo di ambientarsi e maturare. Le vere ragioni di un tale sommovimento mi sono sostanzialmente sconosciute e diverse sono le ipotesi che se ne possono fare: interessi assortiti di procuratori e direttori sportivi e desiderio dei presidenti di dare, sovente, una mano di vernice fresca alla parete anche per poter gettare nomi nuovi in pasto alle fauci dei cronisti e all’appetito dei tifosi. Ma storia del pallone insegna che sono sempre pochi gli innesti che mutano il destino.