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C’era una volta il vecchio “Rione Cristo”

“Città nostra” di Carlo Re

La lunga permanenza tra le mura domestiche che il Covid-19 consiglia agli anziani, da loro modo di evadere con la fantasia e spesso riandare col pensiero, a un’ottantina di anni fa, in quello che era allora il “Rione Cristo”, abitato in maggioranza da dipendenti delle Ffss, in casette dotate di un cortiletto, un orto, un pergolato di viti varie, un recinto per le galline e le gabbie dei conigli, per il cui sostentamento si provvedeva andando a raccogliere erba ai margini dei fossi che circondavano l’abitato e periodicamente recavano acqua ai prati che esistevano intorno alle abitazioni. In inverno, l’unica fonte di riscaldamento casalingo era costituito da una stufa, sistemata nel locale cucina, che serviva sia alla preparazione delle vivande, sia ad attenuare il gelo dei vani abitati, anche su piani diversi.

Prima del riposo notturno si provvedeva a riscaldare il letto mettendo uno scaldino ripieno di braci nel “prete”, attrezzo idoneo a tenere sollevate le lenzuola con le pesanti coperte, che venivano estratti prima di coricarsi. L’arrivo della neve ci costringeva a spalarla dal cortile, ammucchiandola in qualche angolo, ma dava modo ai ragazzi di correre a piedi nudi su quella caduta sui sentieri dell’orto, quale cura estemporanea per i “geloni” che rattrappivano le dita dei piedi e delle mani. Gli stessi giovani avevano poi modo di sfogarsi con furibonde battaglie a base di palle di neve, negli ampi spazi che ancora esistevano a loro disposizione su vie e piazze.

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