Intervista a Giorgia Isidori, sorella di Sergio scomparso nel 1979
All’epoca, Sergio, di anni ne aveva soltanto cinque e mezzo. Oggi ne ha (o ne avrebbe) 47. In mezzo anni e anni di indagini, inchieste, interrogatori, denunce, rinvii a giudizio. Ma di Sergio ancora niente. Nonostante questo Giorgia, nata tre mesi dopo la scomparsa del fratello, non si è mai arresa. Così, insieme con la sua famiglia, ha fondato la rete territoriale di “Penelope Marche“, per affiancare tutti coloro che vivono questo dramma.
E sono tanti, anche nel 2020, come rivela relazione annuale del Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse: 7.672 minori spariti nel nulla solo nell’ultimo anno. Tanti, tantissimi, volti che ancora oggi non si trovano. E dietro quei volti ci sono familiari, parenti, amici: tutti alla ricerca di un proprio caro. Questo pur brancolando nel buio, vivendo giorno per giorno, in attesa di novità o di una svolta. Ma senza rassegnazione, come ci racconta Giorgia. Nella speranza che, prima o poi, possa davvero tornare a splendere la luce. Anche in fondo a quel tunnel che sembra non finire mai.
Isidori, partiamo dal giorno in cui suo fratello scompare.
«La mia famiglia è stata colpita da un dramma il 23 aprile 1979. Quella mattina, Sergio era andato all’asilo, poi ha pranzato a casa e nel primo pomeriggio, come era solito fare, è andato a giocare nel retro della casa con l’altro mio fratello, Gianmaria e un suo amico. Sergio ha fatto prima merenda, scendendo dopo Gianmaria, ha salutato mia mamma ed è andato. Nel retro non è mai arrivato…».
Cosa blocca Sergio sotto casa?
«La nostra casa era ubicata a Villa Potenza, frazione di Macerata. Avevamo due piani, in quello sottostante c’era l’officina di elettrauto di mio padre e sopra l’abitazione. Proprio quel giorno Vittorio, un camionista che aveva portato il camion a riparare da mio padre, parcheggiando sotto casa, ha visto Sergio giocare con qualche bambino che non conosceva. Mentre un’altra testimonianza, quella di Lorenzo che vede Sergio di spalle per mano di un ragazzino, un po’ più alto di lui, dai capelli biondi, andare sulla “corta di Villa Potenza”, strada che porta a Macerata. Mio padre quel pomeriggio era fuori per lavoro. Quando, verso le 17, Gianmaria è ritornato a casa, mia madre gli chiede di Sergio: lui risponde di non averlo visto. Da qui la preoccupazione di tutti e l’inizio delle ricerche».
Per lei e la sua famiglia, cosa vuol dire vivere aspettando ogni giorno notizie, da oltre 40 anni?
«La nostra è un’attesa attiva. Non ci fermiamo. Non ti puoi rassegnare senza sapere che fine ha fatto un bambino strappato alla propria famiglia. Mio padre ha cercato Sergio in su e giù per l’Italia. Le ricerche istituzionali, per opera dei Carabinieri di Macerata, si sono concentrate sul retro della casa: erano convinti che Sergio fosse caduto all’interno di un canale artificiale. Ma, la sera stessa, dopo essere stato prosciugato, non c’è stata nessuna traccia di mio fratello. Purtroppo l’idea delle Forze dell’ordine è continuata a essere quella della disgrazia, senza vagliare con professionalità altre piste investigative».
Ecco, le indagini hanno portato a risultati concreti?
«Nel nostro caso ci sono quattro soggetti rinviati a giudizio per concorso in tentata estorsione di denaro nei riguardi della mia famiglia. Personaggi locali poco raccomandabili, tra cui una donna che si dichiarava cartomante. Poi c’è stato un ordine d’arresto per un altro personaggio conosciuto in Questura per le sue amicizie pericolose, composte da nomadi e balordi. Questi soggetti si sono avvicinati alla mia famiglia con lo scopo di dare notizie sulla sorte del bambino, chiedendo dei soldi: abbiamo ricevuto anche delle chiamate con richiesta di riscatto. Il caso è stato archiviato e poi successivamente riaperto nel 2010, a seguito dell’invio di alcune lettere anonime. Ma nella nostra vicenda si inserisce anche un sacerdote di Macerata che, nel suo libro, richiama in un capitolo la scomparsa di mio fratello, aggiungendo un fine tragico: l’uccisione di Sergio per opera di un pedofilo, i cui resti sarebbero sotto un mandorlo. Gli inquirenti hanno ascoltato questo sacerdote, ma in alcuni passaggi si è contraddetto, dicendo che aveva ricevuto delle confidenze e che, comunque, quel libro era di sua fantasia e si avvaleva del segreto della confessione. Il dramma che ci ha colpito non produce una cicatrice, ma è una ferita che stilla sempre sangue. Dopo anni aspettiamo ancora la verità: la mia famiglia non si arrende… Mia madre lo sente vivo».
Nel 2020 sono scomparsi in Italia 7.672 minori. Cosa ci dicono questi dati?
«I dati indicano che la scomparsa di persone è un problema quasi fisiologico che non ci consente di abbassare la guardia. Possiamo dire che oggi c’è più attenzione alla problematica, questo lo dimostra la riduzione della forbice tra il numero degli scomparsi e il numero dei ritrovamenti. La legge n. 203/12 codifica il fenomeno e indica la partecipazione immediata, a seguito di denuncia presso le Forze dell’ordine, del Prefetto che deve valutare l’adozione del piano provinciale ricerca scomparsi sul territorio e darne comunicazione al Commissario Straordinario del Governo per le persone scomparse. Un ruolo attivo è anche esercitato dal privato sociale: organismi di volontariato riconosciuti, che si attivano a supporto dei familiari degli scomparsi. Prima del 2012 nel nostro Paese c’era il buio. Molti casi rubricati come “allontanamento volontario” si sono poi scoperti come veri e propri omicidi».
Nella maggior parte dei casi perché spariscono i minori? Quali sono le motivazioni?
«Le denunce di scomparsa pervenute alle Forze dell’ordine, dal 1° gennaio 1974 al 31 dicembre 2020, sono 258.552. Di queste, il 52,94% concerne i minori. Le cause di scomparsa relative ai più piccoli riguardano principalmente 74.840 casi per allontanamento volontario; 35.873 casi la cui motivazione è sconosciuta, sono casi perlopiù datati, dove era prassi non inserire da parte delle Forze dell’ordine la motivazione di scomparsa; 23.656 casi di allontanamento da istituto o comunità; 1.712 casi per sottrazione da coniuge o altro congiunto; 586 casi per possibili disturbi psicologici; e 217 casi per possibile vittima di reato».
Negli ultimi mesi è tornato alla ribalta il caso “popolare” di Denise Pipitone. Secondo lei, perché i mezzi di comunicazione parlano poco di tutti gli altri casi?
«I dati sui minori da rintracciare sono 46.417 al 31 dicembre 2020. Sono spesso gli stessi giornalisti, redattori o autori dei vari programmi televisivi che selezionano i casi decidendo quali trattare e quali no. Giusto un esempio, nel 2010, anno della scomparsa di Sara Scazzi e Yara Gambirasio, nelle Marche è scomparsa scomparsa di Cameyi Mosammet, 15 anni, di origini bengalesi, che era residente con la famiglia ad Ancona. La mattina del 29 maggio 2010 doveva andare a scuola, ma non è mai arrivata. Appresa la scomparsa abbiamo subito affiancato la famiglia con una tutela legale gratuita. La ragazza era in compagnia di un ragazzo, l’ultimo ad aver visto Cameyi. Dopo essere stato convocato in Procura ad Ancona, ha ricevuto una denuncia a piede libero ed è ritornato a casa. Del caso se n’è parlato giusto con qualche servizio, poi più nulla. Oggi il ragazzo è indagato per omicidio, perché nel 2018 sono stato rinvenuti i miseri resti della ragazza, per caso, in un pozzo in un terreno vicino a un hotel di Porto Recanati. Qualcuno vi ha mai parlato di questo caso?».
Sempre nel 2020, in totale, sono stati ritrovati 3.332 minori, il 43,3%. Per gli altri proseguono le indagini? C’è speranza?
«Dietro una vicenda di scomparsa può esserci un’ipotesi di reato oppure no. Quando si apre un fascicolo in Procura, e non vi sia certezza di reato, si inscrive il caso nel Registro degli atti non costituenti notizia di reato. Le indagini preliminari hanno una durata di 6 mesi, e purtroppo quando non vi sono esiti significativi nelle indagini e tentativi volti a far luce sulle circostanze della scomparsa, la Procura chiede l’archiviazione del fascicolo. Ma una famiglia che non si arrende, se sostenuta da un competente legale, è sempre in attività e lavora sul caso al fine di trovare elementi nuovi che possano permetterne la riapertura».
Quali sono le attività di “Penelope Marche”?
«L’associazione territoriale nasce sulla scia del dramma che ha colpito la mia famiglia. All’inizio eravamo noi familiari, con qualche parente e amico, a spingere per aprire il percorso associativo. Non è stato facile all’inizio tramutare un dramma simile in una realtà associativa volta a dare forza e coraggio agli altri, come noi. Mettiamo a disposizione dei familiari un sostegno psicologico e un’assistenza legale gratuita. Sin dalla costituzione è attivo un sito internet dove, attraverso ricerche costanti fatte nel tempo, abbiamo inserito i casi avvenuti in regione. Abbiamo una pagina Facebook di pubblica utilità, in cui informiamo chi è scomparso nel territorio a seguito di denuncia. Ci è anche capitato di ricevere delle segnalazioni che abbiamo dirottato alle Forze dell’ordine. Nel corso degli anni abbiamo promosso diverse iniziative: dall’attività convegnistica, a seminari formativi presso le Istituzioni, fino a concerti di solidarietà».
Cosa vuole dire a chi lotta e spera di ritrovare un figlio o un parente?
«Di non arrendersi nonostante il trascorrere del tempo. Vivere nel mistero toglie lucidità, ma tutti abbiamo il sacrosanto diritto di conoscerne la sorte dei nostri cari».
Se avesse suo fratello davanti cosa direbbe?
«Gli ricorderei le sue origini e la sua infanzia. Se ricorda che aveva una madre, cui era legatissimo, un padre e un fratello con il quale giocava. Lo inviterei a scavare su se stesso, sulla sua identità, al fine di ritrovare le sue vere origini. C’è una frase tratta dalla poesia “Inno alla vita” di Madre Teresa di Calcutta: “La vita è un mistero, scoprilo”. Ne ho fatto il mio motto di vita…».
Alessandro Venticinque
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