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Come la folgore viene da Oriente

“La recensione” di Fabrizio Casazza

Il nome per noi è sicuramente ostico ma il tratto è invece «amabile e affabile», come afferma papa Francesco nella prefazione a Come la folgore viene da Oriente (San Paolo, pp 125, euro 12), in cui il teologo don Francesco Cosentino intervista Lazzaro You Heung-Sik. Conosciamo meglio questo prelato coreano.

Nato nel 1951 in una famiglia povera, battezzato all’età di sedici anni, entra in seminario ricevendo l’ordinazione presbiterale nel 1979, dopo un periodo di formazione dai Focolarini a Frascati. Conseguito nel 1983 a Roma il dottorato in dogmatica presso la Pontificia Università Lateranense rientra in patria ove ricopre, tra le varie mansioni, quella di rettore del seminario. Nel 2003 san Giovanni Paolo II lo nomina coadiutore della sua diocesi d’origine, Daejeon, e due anni dopo ne diventa vescovo. Dopo aver partecipato nel 2018 in Vaticano all’assemblea del Sinodo sui giovani, papa Francesco nel 2021 lo nomina prefetto del dicastero per il clero e nel 2022 lo crea cardinale. In considerazione del suo ufficio raccogliamo dal libro alcuni suoi pensieri circa il sacerdozio.
A proposito del ministero episcopale afferma: «nessuna autorità è possibile se prima non si aprono spazi di sincero e cordiale dialogo» (p. 58). Ancora: «non si può essere vescovi da soli, pensandosi come condottieri al comando di qualcuno. Si è vescovi sempre con i preti e con il popolo di Dio, con i preti e insieme a loro a servizio del popolo di Dio» (p. 95).

Circa il sacerdozio spiega: «è morire per vivere con Gesù per i fratelli» (p. 61). «Qualunque sia il cammino, il ministero che svolgiamo, l’insieme delle situazioni personali e pastorali che viviamo, la cosa più importante per un prete è chiedersi ogni giorno: cosa sto scegliendo io?» (p. 75). In effetti «la cosa più importante nella vita di un prete è la scelta di Dio» (p. 86).

Sulla preparazione al ministero il cardinale sostiene che «oggi un seminarista dovrebbe essere “testato” anche sulla sua maturità comunitaria» (p. 66). Circa l’ambiente formativo, «non possiamo tenere in piedi delle istituzioni formative con pochissime persone, perché non si garantisce una qualità alta della formazione. Ma allo stesso tempo, il Seminario non deve essere un luogo e un tempo “separato”, quanto lo spazio in cui impariamo a fare rete, a entrare in connessione, a maturare nelle relazioni» (p. 69).

Su un certo stile che pare diffuso nel clero giovane il prefetto spiega: «Dietro la nostalgia del tradizionalismo c’è il desiderio di ritornare a una società in cui il prete era “qualcuno”. Ma questo significa che ho bisogno del ruolo esteriore per apprezzare me stesso, per stimarmi degno di qualcosa: è una fragilità antropologica su cui vigilare» (p. 77). Bisogna avere l’umiltà di lasciarsi plasmare e interrogare: «Sono preoccupato quando vedo seminaristi che, fin da subito, sembra sappiano già tutto e siano già preti confezionati e arrivati» (p. 111).

Le parole del cardinale Lazzaro You Heung-Sik certamente stimolano la riflessione, suscitano verifiche, aprono scenari non solo nel clero ma anche nei laici perché, in fondo, parlare di governo pastorale significa parlare di azione pastorale dell’intero popolo di Dio. Lo scopo è l’annuncio del vangelo per far entrare la gente in contatto con il mistero di Cristo, il quale vive risorto e continua a inviare il suo Spirito che guida la Chiesa e accompagna l’umanità nel cammino verso la Gerusalemme celeste.

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