Intervista a don Gianluca Depretto, nuovo sacerdote in Diocesi
Lo abbiamo intervistato per conoscerlo meglio, dal momento che non è ancora un sacerdote della nostra Diocesi. Partiamo dalla sua biografia, allora. Don Gianluca nasce nel 1973 a Milano. Nel 1987 entra in seminario a Genova dai padri Scolopi, studia a Roma alla Gregoriana e nel 2000 viene ordinato a Milano. Da lì, entra come insegnante di religione all’istituto “Calasanzio” di Genova, di cui nel 2007 diventa rettore e preside. Fino al 2011, anno in cui inizia per lui una vicenda amara e controversa, con alcuni risvolti giudiziari che si sono risolti nel 2019. Ve li raccontiamo, senza ipocrisie e senza sconti.
Don Gianluca, intanto: sei contento?
«Sì, sono contento perché sento che il Signore ancora una volta mi chiama a una nuova missione. Dopo l’esperienza molto bella a Valenza negli ultimi sei mesi, sono felice di portare a pienezza il mio servizio nelle sei parrocchie con don Luciano».
Tu sei un volto nuovo della nostra Diocesi, ma non sconosciuto. Ti confesso che sono andato a cercare il tuo nome e cognome su Google. E ho trovato delle accuse pesanti, molto pesanti, nei tuoi confronti. E nessuna smentita… Te la senti di parlarne?
«Sì, certamente!».
Bene. Partiamo allora dalla questione più infamante, quella di aver molestato un tuo compagno di seminario. È vero?
«Il seminarista, che chiamerò Paolo usando un nome di fantasia, in un’intervista rilasciata a un giornalista del Secolo XIX l’8 marzo 2012 mi avrebbe accusato di molestie sessuali, risalenti al 1990 quando ero ancora un seminarista di 17 anni. Ebbene, Paolo, chiamato a testimoniare un anno fa davanti al giudice nel procedimento che ho intentato contro il quotidiano genovese, ha chiaramente affermato di non aver mai fatto quelle dichiarazioni, dicendo invece che era stato il giornalista a travisare».
Secondo l’articolo, Paolo avrebbe anche affermato che tu accompagnavi i ragazzini in bagno.
«Non c’è mai stato nulla di tutto ciò. Negli anni successivi, con i giovani e i bambini durante i campi estivi, così come nell’insegnamento, mai sono stato accusato o sospettato di fatti di questo tipo».
Ma lui che cosa ha detto al giornalista, allora?
«Nella lettera che ha scritto al Secolo XIX il 9 marzo 2012, una lettera di smentita che è agli atti, lui ha dichiarato fermamente di non aver mai parlato di molestie da parte mia, nei suoi confronti o di altri, ma di avere avuto solo il sospetto che io potessi essere omosessuale. Da questa sua ipotesi è stato il giornalista a parlare di pedofilia, travisando le parole di Paolo (don Gianluca mi mostra la lettera di smentita, che conferma tutto quello che mi sta dicendo, ndr)».
E perché ti ha accusato?
«Eravamo entrati in conflitto, perché io ho finito il seminario mentre lui è tornato a casa. Questa potrebbe essere una spiegazione».
Don Gianluca, veniamo al secondo punto dolente: quello dei soldi… sei stato accusato e condannato per il reato di appropriazione indebita.
«No, e ti spiego. In primo grado sono stato condannato a un anno con la condizionale. In secondo grado ho accettato di fare un concordato, che non è un patteggiamento, lo sottolineo. Ho ammesso l’unica mia colpa, cioè la negligenza “in vigilando”».
Cosa vuol dire? Tu hai anche dovuto restituire dei soldi.
«Essendo il rettore, avrei dovuto essere più attento alla gestione economica e non ho vigilato con la dovuta attenzione su alcune spese poi attribuite a me, ma che in realtà erano state fatte per l’Ordine degli Scolopi, per la comunità o per persone a essa vicina. Per i soldi, il tribunale ha bloccato il conto su cui io avevo la firma, ma sempre della comunità. E alla fine del procedimento il denaro è ritornato alla comunità: da parte mia non c’è stata alcuna appropriazione indebita. Invece i giudici mi hanno sempre considerato come un amministratore delegato, e non come membro di una Famiglia religiosa».
Però a un certo punto gli Scolopi, cioè i membri della tua “Famiglia religiosa”, ti hanno scaricato, considerandoti colpevole.
«Questo è stato sicuramente molto doloroso (sospira). Ma ormai il rapporto di fiducia vicendevole si era incrinato completamente, perché non ero riuscito a svolgere in maniera corretta il mio mandato di vigilare sui beni della Comunità. Ero probabilmente troppo giovane, avevo 34 anni ed ero a capo di una realtà enorme, forse superiore alla mia esperienza».
C’è un ultimo punto che vorrei affrontare. Tu sei socio di una agenzia viaggi a Genova, in cui tra l’altro lavori a tempo pieno. Che farai? Starai lì durante la settimana, e verrai in Diocesi a dire Messa solo nei weekend?
«Il lavoro in agenzia viaggi mi ha permesso di mantenermi in questi dieci anni, e mi ha dato le risorse necessarie per difendermi, rimanendo comunque prete. Ora che tutti i procedimenti sono terminati e ho dimostrato la verità, potrò lasciare il lavoro in agenzia e riprendere a tempo pieno la mia vera missione, quella sacerdotale».
Che cosa chiedi ai tuoi nuovi parrocchiani, soprattutto a quelli che ti guarderanno con sospetto e diffidenza? Te li dovrai conquistare uno per uno, certe calunnie fanno fatica a “scrostarsi”…
«Penso che, più di mille parole, varrà la testimonianza di vita che saprò dare. Una testimonianza che ha come fondamento quella fede che mi ha permesso di non scendere dalla croce in questi ultimi dieci anni».
Dopo un percorso così tormentato, a chi vuoi dire grazie?
«Prima di tutto a Dio, che mi ha dato la forza per non arrendermi. E a tutte quelle persone che mi sono state accanto, rendendo concreto l’aiuto che veniva dal Signore. In modo particolare vorrei dire grazie al nostro Vescovo, monsignor Gallese, che mi dà di nuovo l’opportunità di vivere pienamente la mia vocazione. Lo faccio a testa alta, perché io non sono né un pedofilo, né un ladro».
Andrea Antonuccio