Intervista a Giampaolo Mortara, direttore della Caritas diocesana
Nel paginone “allargato” di questa settimana presentiamo su Voce il Report 2020 della Caritas diocesana. Per “leggere” bene i dati, e per coglierne il significato, abbiamo chiesto consiglio a Giampaolo Mortara (in foto qui sotto), che della nostra Caritas è direttore.
Giampaolo, che dati troveremo nel report?
«La raccolta dei dati e delle informazioni deriva sempre da momenti di incontro, di ascolto e di accompagnamento. Il senso del dato è legato a una persona, a un volto. In questo Report abbiamo voluto andare oltre la statistica: “scattare una fotografia” non del territorio, quindi, ma dell’umanità che abbiamo incontrato. È questa è la chiave di lettura più appropriata».
Che anno è stato il 2020 per voi di Caritas?
«L’anno è stato per così dire “particolare”, evidentemente per la pandemia. Quello che eravamo abituati a fare è stato stravolto… il fulcro dell’impegno, cioè l’incontro personale, ci è stato impedito per molto tempo dalle misure anti-Covid, e dunque ci siamo dovuti reinventare adattandoci alle circostanze».
Un esempio?
«Nel giro di pochi giorni, da marzo 2020, abbiamo trovato nuovi sistemi di contatto, aiutati dalla tecnologia: smartphone, Whatsapp, videochiamate… E proprio gli smartphone, che prima potevano sembrarci superflui o inappropriati per un bisognoso (“Ma come, ci chiede un aiuto e ha il cellulare?”), si sono invece rivelati essenziali».
Quindi mi stai dicendo che quando ci scandalizziamo perché vediamo un povero o un migrante, con lo smartphone, in realtà non abbiamo presente quali sono le sue necessità… forse siamo un po’ moralisti nei confronti della povertà altrui? E voi di Caritas come fate a non cadere in questa trappola?
«La tentazione di cadere in questo equivoco è reale, diciamocelo. Ma è la conoscenza dell’altro che ti consente di riflettere e di considerare meglio quali sono le sue necessità, anche quelle che tu non riesci a cogliere. Un esempio reale: c’è chi viene da me e si lamenta perché non ha nemmeno i soldi per comprarsi le sigarette… non è banale capire che anche quello è un bisogno. Io non fumo, e quindi non capisco. Ed è vero che il fumo fa male, ma alla fine le nostre sono scuse: siamo dei moralisti (sorride)».
Torniamo al Report 2020, che si trova in maniera estesa sul paginone. Quali sono i dati, in senso ampio, non solo numerico, che ti hanno colpito di più?
«Innanzitutto l’importanza dell’abitare, dell’avere una casa o una dimora. Questo è emerso in maniera eclatante durante il primo lockdown: da una parte c’erano indicazioni e obblighi di rimanere a casa e di non muoversi, di non vedere nessuno; dall’altra avevamo persone che passavano le notti nei nostri dormitori o in ripari di fortuna, e che di giorno stavano in giro, pur non potendo. E così qualcuno si è accorto che queste persone esistono… Credo che per il futuro sarebbe utile cominciare a pensare a una modalità di accoglienza per questi “ultimi”, che sono veramente ultimi: non solo per dare loro un posto dovere dormire la notte, ma per stare insieme anche durante il giorno. Questa pandemia ci ha aperto gli occhi su bisogni che prima non vedevamo. O che, forse, non volevamo vedere».
Ma a te il 2020 che cosa ha insegnato?
«Mi vengono in mente le parole di papa Francesco, in occasione dei 50 anni dalla nascita di Caritas italiana. Parole che ti avevo già citato quando mi hai intervistato nel luglio scorso. Il Santo Padre ha indicato tre vie: la via degli ultimi, e quindi partire dai più fragili, dai più indifesi; la via del Vangelo, fatta di misericordia, relazione, comprensione dei bisogni profondi dell’altro. E poi la terza: quella della creatività. Ecco, la pandemia ha fatto “invecchiare” le modalità e lo sguardo con cui fino a quel momento aiutavamo gli altri, e ci ha chiesto uno “scatto in avanti”: ci siamo dovuti inventare cose nuove, anche nel quotidiano. Ma mi viene da dire che il Covid, con tutta la sofferenza che ha portato, ha reso chiaro che dovevamo cambiare. E non solo nel fare le cose… ho paura della nostra memoria corta: rischiamo di dimenticarci tutto, e di voler tornare a come eravamo prima. Ma più arrabbiati di prima».
5a Giornata Mondiale dei Poveri
Istituita da papa Francesco nel 2017 al termine del Giubileo della Misericordia, domenica 14 novembre ricorre la 5a Giornata Mondiale dei Poveri, un’occasione per incontrare chi vive in condizioni di povertà e ascoltarne il dolore, per guardare alle persone che si trovano in una situazione di fragilità estrema con uno sguardo d’amore e non di commiserazione.
Sabato 13 alle ore 21, nella sera di vigilia della “Giornata dei Poveri” e in occasione della Santa Messa per la Festa di San Baudolino, ci sarà la celebrazione in Cattedrale del Vescovo di Alessandria, monsignor Guido Gallese.
Nella mattinata di domenica 14, a partire dalle 11, nel cortile della Caritas in via delle Orfanelle 25, la mensa “Tavola Amica” rimarrà come di consueto aperta per il pranzo. Nel nuovo refettorio allestito da poche settimane gli scout dell’Agesci con i gruppi Alessandria 1, 2 e 3, Valenza 1 e gli scout del Valenza 2-Madonnina, con la collaborazione di Sie Onlus, organizzerà momenti di incontro e convivialità per coloro che si rivolgono al servizio.
Andrea Antonuccio