Senza alcun dubbio la Resistenza in provincia di Alessandria fu una quota parte importante della resistenza piemontese.
I tedeschi occuparono con presidi, comandi, contraeree e posti di blocco in modo intenso e pervasivo tutto il territorio. Temevano, infatti, uno sbarco alleato in Liguria e quindi, al di qua degli Appennini, avevano organizzato radicatamente la loro presenza.
Accanto a loro vi fu, da sempre, in provincia una forte presenza della Repubblica Sociale Italiana, dovuta anche al retaggio del regime fascista fin dal ‘21.
Per queste ragioni la Resistenza fu certamente difficile, caratterizzata da molte vittime e da scontri, ma fu soprattutto espressione al plurale di tutta la popolazione.
Come qualificherebbe, allora, la nostra Resistenza?
Dal Monferrato all’Alessandrino e all’Ovadese, fu un grande evento di popolo, frutto di tutte le componenti sociali e di tutti gli apporti culturali e ideali.
La nostra, come ci stanno dimostrando sempre più dettagliatamente le ricerche storiche recenti, fu una Resistenza di ex militari, di ex alpini e carabinieri, di giovani studenti, di operai ed artigiani, di contadini e di cattolici impegnati nel sociale.
La “Banda Lenti”, ad esempio, con i suoi 27 giovani uccisi dai tedeschi in due ore a Valenza, è senza dubbio il prototipo di banda partigiana eterogenea e rappresentativa del nostro territorio. Tra quei giovani vi erano operai, artigiani, contadini della collina, studenti, ex alpini. Ed ancora, molti altri eventi ci restituiscono una Resistenza connotata da apporti culturali-ideali di matrice differenti: dalle componenti cattoliche, come nella “Brigata Patria” e nella “Brigata Autonoma Monferrato”, dalle componenti comuniste e socialiste delle Brigate “Garibaldi” e “Matteotti”, dalle componenti azioniste come nelle formazioni di “Giustizia e Libertà”, dalle varie aggregazioni neutre e spontanee sorte un po’ ovunque. Sono sempre più convinto che proprio questo aspetto pluralista e corale dia alla Resistenza maggiore dignità e autorevolezza, superando le visioni particolari di una storiografia superficiale e ideologizzata.
La Resistenza fu un grande evento di popolo
Come si colloca il mondo cattolico nella Resistenza?
Il mondo cattolico, nelle sue varie declinazioni, fu protagonista, non marginale, anche nel nostro territorio, della fase resistenziale.
Il 4 marzo 1944, nella parrocchia di Zanco, in Val Cerrina, alla presenza del vescovo Angrisani, si tenne un incontro fra una ventina di parroci, un rappresentante del vescovo di Asti, un rappresentante del vescovo di Torino, Fossati e vari esponenti del cattolicesimo monferrino.
In questo incontro si decise di difendere e sostenere, ospitandoli nelle case di montagna, i giovani che non volevano aderire ai bandi della Repubblica Sociale e si decise di proteggere le famiglie ebree. Da tale incontro, di cui si ha relazione puntuale nell’archivio storico della R.S.I. a Brescia, nacque una rete organizzata da alcuni vescovi piemontesi, laici cattolici impegnati nella società e popolazioni rurali.
In sintesi, il mondo cattolico contribuì alla Resistenza attraverso i vescovi e i parroci, attraverso alcune organizzazioni laiche e la partecipazione, anche diretta, alle formazioni partigiane. La “Brigata Patria”, guidata dall’alessandrino Edoardo Martino (Malerba) e con una capillare presenza nella pianura alessandrina e nelle prime colline del Monferrato con le figure di Giovanni Sisto e Giancarlo Venier, rappresentò un momento organizzato importante direttamente collegato alle missioni inglesi paracadutate anche nel nostro territorio.
Nel mio ultimo saggio “Una trama sottile” ho dedicato ampio spazio alla figura di Malerba e del suo rapporto con la missione inglese del maggiore Leach. La sua figura è una delle novità inedite del libro proprio perché solo ora, tramite il contributo delle due figlie che vivono a Londra, si è potuto ricostruire la vicenda di Leach e la resa di Alessandria e il rapporto strettissimo con Malerba.
Correttamente, Sergio Cotta, partigiano della “Monferrato” e docente di filosofia del Diritto per vent’anni all’università di Roma, rivendicò sempre il contributo non solo culturale-ideale del mondo cattolico, ma anche il contributo operativo e di sostegno alla Resistenza attiva.
Quando ha incominciato ad occuparsi della Resistenza?
Avevo 24 anni ed intervistai gli ultimi partigiani. Da allora ho proseguito per tutto questo tempo a ricercare e indagare aspetti nuovi della fase resistenziale proprio allo scopo di far emergere il fenomeno nella sua interezza.
Il saggio “Fenoglio verso il 25 aprile” e l’ultimo saggio “Una trama sottile” costituiscono un approdo significativo delle mie ricerche con un’attenzione nuova anche verso la realtà torinese e fenogliana, ma sempre con precisi input provenienti dalla nostra terra alessandrina e dal Monferrato. Più si ricerca e più emergono fatti e protagonisti che la disattenzione e l’indifferenza degli anni avrebbero, invece, consegnato all’oblio.
Ho sempre privilegiato il dettaglio della fonte, il richiamo ai documenti e alle interviste, il controllo delle note e delle citazioni e delle bibliografie. Il tutto perché un lettore attento non deve gustare una storia romanzata, ma una storia ricostruita e dettagliata con rigore.
Documenti, testimonianze, verbali, sentenze, immagini, molti inediti: è questo il paradigma di elementi che ha permesso all’autore di ricostruire la sottile trama esistente fra la Fiat, le missioni alleate e la Resistenza nel biennio 1943-1945. Agnelli, Valletta, Ragazzi, Ratti, Menghi, Banfo, Dal Fiume, gli agenti e militari inglesi del Soe e gli americani dell’Oss, le formazioni partigiane e le Sap interagirono in vista della Liberazione. Fu una cooperazione silenziosa, prudente. La fabbrica, con i dirigenti e gli operai, fu protagonista. Torino e il Piemonte ne furono il contesto. Il tutto ampiamente comprovato da questo saggio, dotato di una congrua appendice documentale e fotografica. Agenti dell’Oss e radio collocate all’interno degli stabilimenti, dirigenti Fiat che aiutavano alcune formazioni partigiane, attestazioni di somme di denaro concesse. Si analizzano i verbali del processo di epurazione intentato a Valletta, le sentenze che decisero sull’efferata uccisione fascista degli operai Banfo e Melis di Fiat Grandi Motori. Emergono conferme e nuove verità, in un serrato intreccccio di atti e testimonianze, tra Torino e il resto del Piemonte.
A cura di
Marco Caramagna