Fabrizio Spina, classe 1984, cresciuto a Castellazzo, da Capo scout a educatore all’oratorio “don Bosco” di Alessandria, due anni fa decide di iniziare il percorsro per divenrie Salesiano. L’8 settembre ha pronunciato la sua prima professione.
Fabrizio, hai da poco compiuto un passo importante per la tua vita, ci racconti?
«Si, l’8 settembre sono diventato salesiano di Don Bosco. Ho fatto la mia prima consacrazione religiosa con voti temporanei che consiste nell’emettere i tre voti: castità povertà e obbedienza».
Come sei arrivato a questa scelta?
«Quando avevo 16 anni (e per molto tempo a seguire!) frequentavo l’oratorio di Castellazzo e sia il parroco che il viceparroco avevano particolare attenzione per i giovani e i poveri… il loro stile ha segnato profondamente la mia vita. Ricordo soprattutto don Gianni Cossai: la sua sacrestia era sempre affollata di rifugiati o persone bisognose che accoglieva e accompagnava. Non era solo “accoglienza materiale” ma costruzione di un futuro: su noi giovani animatori il suo modo di essere sacerdote ebbe un forte impatto. Anche lo scautismo ha segnato il mio cammino di crescita, infine, a 20 anni sono entrato nella famiglia salesiana come educatore di oratorio dove ho lavorato per 9 anni in cortile. Grazie all’esperienza con giovani e i poveri del quartiere Cristo è maturata sempre di più nel cuore l’esigenza di cercare Dio nel prossimo. Le “gocce” si sono accumulate finché, a 30 anni, ho affrontato la situazione in maniera diversa decidendo di prendere in mano la mia vita con un guida spirituale. Un passaggio, questo, fondamentale! Dopo un anno e mezzo presso la comunità proposta di Torino a Valdocco (casa per chi vuole discernere sul proprio futuro), grazie ad una vita di comunità e di preghiera molto forte, ho sentito con più chiarezza la chiamata alla vita religiosa. A seguire sono rimasto un anno a Pinerolo per il noviziato ed ora mi preparo a studiare filosofia (a Brescia) e alla formazione permanente che mi porterà in qualche casa salesiana del Piemonte. Il percorso mi porterà alla professione perpetua». Fabrizio, perchè la tua vocazione non ti ha portato a diventare diocesano? «Non ho escluso quest’ipotesi: ho vissuto molto questa diocesi, la mia. Eppure la vita comunitaria ma in particolare il cercare e lavorare per i giovani mi hanno fatto sentire dove sta la mia felicità. Quando penso alla mia vocazione ripenso a Stefano, il martire, una chiamata non a evangelizzare ma a servire le mense, i poveri. Ecco la mia strada: insieme ai miei fratelli il lavoro a servizio delle mense».
Come vivi il rapporto con i giovani oggi alla luce del tuo cammino?
«All’inizio pensavo che coi giovani bastasse essere “amiconi”… spesso infatti rispondono ai nostri bisogni affettivi poi però, maturando, ti domandi il motivo di quello che stai facendo e dunque ti chiedi se questo servizio è per loro o per te. Anche io mi sono posto questa domanda. Servire, educare, accompagnare i giovani chiede di cambiare completamente stile: significa entrare in uni stile “di castità” come atteggiamento di chi è di tutti, di chi non coltiva dipendenze, di chi si pone nell’atteggiamento di guida. Proprio per questo consiglio di avere sempre una guida spirituale che possa restituirti le tue motivazioni..poi certamente il lavoro educativo è talmente bello, grande e complesso oggi che si potrebbero dire molte altre cose!»