Paolo Bernardotti è un fotografo specializzato in fotografia commerciale con studio in Alessandria. Si avvicina alla fotografia all’inizio degli anni duemila, con il passaggio dall’analogico al digitale. Oltre alla fotografia tradizionale ha la passione della fotografia per il cinema, che pratica come direttore della fotografia per cortometraggi e spot pubblicitari.
Nel suo campo specifico, che cosa vuol dire raccontare la realtà?
La fotografia in quanto racconto è un campo assestante della realtà. Nel mio campo si cerca di avere un occhio narrativo e descrittivo. Proprio perché in un istante si racconta una realtà. Un fotografo, ad esempio attraverso un taglio specifico di un’inquadratura, ha la possibilità di deviare lo sguardo dello spettatore, facendogli così cogliere determinati aspetti della narrazione. Un fotografo può anche decidere di non mostrare alcuni aspetti della realtà, e questo fa dell’autore un vero e proprio narratore.
Basta la realtà che leggiamo, vediamo e ascoltiamo tutti i giorni, o c’è di più?
Sicuramente come in ogni settore bisogna vedere chi interpreta la realtà. Nel mondo della fotografia è necessario un approfondimento, perché con un immagine non si può raccontare tutto. Purtroppo con i social l’approfondimento ne va a meno, perdendo così il valore narrativo della realtà.
C’è una sola verità o più verità?
Assolutamente ci sono più verità. Nel mio campo basta variare l’angolo di sguardo, basta variare l’angolazione o il mezzo di narrazione per cambiare il punto di vista dello spettatore. Quindi per questo sia lo spettatore che il fotografo sono obbligati ad avere una lettura critica.
Che cosa fa quando devi comunicare qualcosa che ti trova in disaccordo?
Per me in questi casi il distacco emotivo diventa fondamentale. Nonostante il disaccordo, bisogna raccontare in ogni caso. Molte volte capita di dover fotografare situazioni difficili, bisogna quindi cercare di essere estranei ai fatti, riportando la realtà.
Esiste un antidoto alla “fake news”? Se sì, quale?
Un antidoto non c’è. Per me è possibile un processo, che parte da chi supporta le “fake news”, cioè coloro che gestiscono i social. Dal’altro lato le false notizie sono una malattia che si divulga in fretta, per questo bisognerebbe educare i lettori. Anche nella fotografia bisogna evitare che tramite il mondo social prendano piede le “fake news”.
Alessandro Venticinque