Speranza nel dolore: a un mese dalla scomparsa ricordiamo Simona e Massimiliano Monticone

«Gesù non è venuto a toglierci le sofferenze, ma è vivo, presente e ci accompagna»

 

È trascorso più di un mese dalla scomparsa di Simona e Massimiliano Monticone, 18 e 49 anni, vittime di un tragico incidente a bordo di un ultraleggero, avvenuto sabato 30 agosto nelle campagne del Vercellese, tra Lamporo e Livorno Ferraris. Papà e figlia erano molto conosciuti in città ed erano attivi nella Chiesa locale: Massimiliano, insieme con la moglie Elisa, accompagnava i fidanzati nel percorso di preparazione al matrimonio a Spinetta Marengo e faceva parte dell’Équipe Notre-Dame (ve ne parleremo nel prossimo numero); mentre Simona era animatrice al Centro Don Bosco, nel quartiere Cristo.

Domenica 5 ottobre, in occasione della Messa di trigesima, la parrocchia di San Giuseppe Artigiano si è voluta stringere ancora di più attorno alla famiglia Monticone. Ricordando Massimiliano e Simona, pregando insieme e cercando di trovare luce e speranza anche in mezzo al buio del dolore.

 Don Mauro Mergola, parroco e direttore del Centro Don Bosco, ha spiegato: «Domenica abbiamo celebrato la Santa Messa di inizio anno pastorale, con il mandato a tutti gli operatori pastorali. E, d’intesa con la mamma Elisa e il fratello Matteo, abbiamo detto: “Certamente Simona sarebbe venuta, e avrebbe anche lei ricevuto il mandato”. Allora abbiamo unito le due cose, celebrando la Messa di trigesima nella stessa liturgia. A tutti gli operatori pastorali abbiamo consegnato il mandato, la lettera pastorale del Vescovo e un braccialetto con un’espressione di Don Bosco. Dopo abbiamo chiamato Elisa e Matteo, in mezzo a tutti, per consegnare loro lo stesso mandato e dei cartelloni che, nei giorni successivi al tragico incidente, bambini, ragazzi e animatori hanno scritto, ricordando che cosa Simona ha donato a ciascuno di loro. È stato un modo per rendere viva e presente la figura di Simona, che è stata ed è un segno importante di attenzione soprattutto verso i più piccoli. C’è stata una grande commozione: ciò che ha segnato tutta la celebrazione è stato l’intrecciarsi di sentimenti ed emozioni, in un clima di festa, ma sempre con le lacrime agli occhi per un dolore molto forte. Pensavo a questi giovani che riprendono un nuovo anno di servizio sapendo che una ragazza come loro fisicamente non è più presente. Si guarda al futuro, ma con il cuore ancora ferito».

Perché Dio permette questo?

«Guardiamo a Gesù Cristo: anche Lui ha patito le conseguenze di scelte fatte da altri e non ha voluto evitare di passare attraverso la croce. Vuol dire che il Signore, in qualche modo, si adatta a tutte le cause a seconda della nostra esistenza. Poi penso che anche Gesù ha vissuto l’esperienza del lutto, ha visto morire San Giuseppe. Gesù, se è stato pienamente uomo, ragazzo e figlio, avrà vissuto anche il dolore del lutto. Avrebbe potuto evitare che suo papà Giuseppe morisse? Probabilmente sì, come figlio di Dio. L’ha fatto? No, perché nella sua incarnazione, nel suo essere pienamente uomo, ha vissuto pienamente il distacco fisico delle persone amate. Gesù si è adattato al grande mistero della violenza umana, di fronte a un’altra sconfitta. Tutto questo è un preludio di quello che avrebbe vissuto sulla croce. Quindi, come diceva papa Francesco, ad alcune domande non c’è risposta. Il Signore Gesù non è venuto a toglierci le sofferenze, le disgrazie, quello che umanamente capita. Ma ci dice che, anche attraverso quel mistero di dolore, Lui è vivo, è presente e ci accompagna. Non possiamo dare un senso a quello che è capitato, però possiamo capire che anche attraverso quella situazione c’è una luce di resurrezione».

Tu dove hai visto Dio in questa storia?

«Io l’ho visto in un senso forte di comunità che questa famiglia ha vissuto. Non si sono sentiti soli: c’è tanta gente intorno a loro, e soprattutto tanta gente che prega. Ancora pochi giorni fa, Elisa mi diceva: “Se io non sono ancora impazzita è perché sento la preghiera di tante persone per me”. Questo è il segno della presenza di Dio, che è compassione, che è attenzione e con delicatezza si fa carico della nostra vita. Non interviene a risolvere i nostri problemi, ma ci aiuta ad affrontare i nostri dolori con quella determinazione di chi, in virtù della fede, accetta e vive anche il tempo della sofferenza e della violenza».

  A parlare di Simona c’è anche Giovanni Ercole, 18enne che frequenta l’oratorio Don Bosco: «Ero suo compagno di classe al liceo linguistico. Simona mi ha lasciato il ricordo di un’amicizia perfetta, non potrei trovare un difetto o qualcosa da cambiare. Mi colpiva la gioia nell’affrontare ogni cosa, ogni situazione sempre con il sorriso e con il cuore. Anche in ogni piccola azione della giornata. Simona affrontava la vita con felicità. Era molto attiva nel gruppo giovani animatori e seguiva, al mercoledì, il gruppo di danza con le bimbe piccole».

Com’è stata la reazione della comunità?

«C’è stato un dispiacere generale. Si è creato un vuoto dentro ognuno di noi. Adesso si cerca di andare avanti, ricordandola in ogni festa, in ogni attività e proposta dalla parrocchia. La porteremo avanti con noi in questo percorso».

Sei arrabbiato per questa storia?

«No. Sicuramente c’è un po’ di rabbia, ma più per il modo in cui se n’è andata: non se lo meritava di soffrire, in una situazione così tragica. E non sono nemmeno arrabbiato con Dio. Sono convinto che, se è successo, Lui ha avuto piani più grandi di noi e ci sarà un perché. E lo scopriremo quando saremo con lei».

E se Simona fosse qui davanti?

«Non credo di doverle dire nulla. Penso che l’abbraccerei più forte che posso».

 Infine, abbiamo incontrato Riccardo Barbero, 19enne al secondo anno di Scienze motorie, anche lui attivo all’oratorio dei salesiani: «Simo è la mia fidanzata, e principalmente, per me, ci sarà sempre lei. È una persona straordinaria, a dir poco perfetta. Lei è veramente fondamentale, mi è difficile anche parlarne, perché sarebbe riduttivo e non saprei utilizzare le parole corrette. Non ho mai avuto problemi, siamo stati sempre felici. Quindi il termine giusto è “perfetta”. Non lo dico da suo fidanzato, ma come persona. In oratorio, aveva un compito importante: organizzava tutte le feste, occupandosi dei balletti. Dal mio punto di vista e da quello dell’oratorio è una perdita veramente straziante. Non riesco a immaginare una vita e un oratorio senza di lei. Voleva bene a tutti, come noi volevamo veramente bene a lei».

In tutto questo buio, c’è una luce?

«Non c’è del positivo, lei doveva essere ancora qui con noi. La luce è tutto ciò che ci ha lasciato. Ho l’immagine delle bimbe che, entrando in oratorio, vedevano Simona: erano estasiate. Dopo questo tragico evento, la sua famiglia ha ideato il progetto “Danziamo con Simona”: ristruttureremo il teatro dove faceva lezione di danza, e mi piacerebbe chiamarlo “Teatro Simona”. Sarà il suo posto, e sapremo che lì c’è lei. Entrare in teatro è sempre un’emozione forte, perché me la vedo che insegna alle piccole o che balla. Se ho un’immagine di Simona qui, in oratorio, la vedo che balla… una cosa spettacolare, lasciava tutti a bocca aperta».

Se fossi qui davanti cosa vorresti dire a Simona?

«Penso che l’abbraccerei, non mi staccherei più, sarebbe il regalo più bello. Se un giorno, magicamente o per volere divino, me la ritrovassi davanti, mollerei tutto e riprenderei con lei, ne sono convinto. Non riesco a immaginare il mio futuro senza lei. Era la mia motivazione».

Cosa dici a chi sta soffrendo come te?

«Non è facile andare avanti. Io personalmente non voglio ricucire questa ferita, perché non voglio superarla, voglio averla sempre con me. E poi vi chiedo di pregare tanto».

Sei arrabbiato con Dio?

«Assolutamente no. Anzi, quando è arrivata la notizia mi sono fiondato in chiesa, come se avessi sentito che quello era l’unico posto sicuro. Poi chiaramente mi sono sfogato. Ma non sono arrabbiato con Dio, perché so che lei è mancata, ma ci sono dei piani dietro. Purtroppo dobbiamo essere realisti, Simona non tornerà più, però ogni tanto ci penso e dico: “Cavolo, che bello, un giorno la rivedrò e torneremo insieme”. Mi colpisce anche un’altra cosa: la mia fede è cresciuta tantissimo, sto iniziando a pregare per lei, e continuerò a farlo. Sarà sempre il mio grande amore». 

Alessandro Venticinque

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