Questa settimana su Avvenire ho parlato di Vinitaly in vista della 52a edizione che si apre domenica. E c’è fermento in attesa di Di Maio e Salvini, soprattutto per ciò che potranno dire sui dazi, sulla minaccia del trasloco dei vigneti ad altezze alpine e sui 434 milioni di fondi Ue che 11 regioni rischiano di perdere per i ritardi sui programmi di sviluppo rurale. Tra i produttori di vino attesi a Vinitaly molti sono giovani e questi hanno bisogno di programmi, progetti, rassicurazioni. Quest’anno a Verona ci sarà anche «Vinitaly and the city», un’iniziativa voluta dalla Fiera di Verona con il Comune e altri partner istituzionali e privati, ovvero una passeggiata in città per incontrare le regioni d’Italia con assaggi, riflessioni e spettacoli e scoprire il mondo del vino tra le vie di una città d’arte, al di fuori dei padiglioni di una fiera. Così il vino può essere una chiave per incentivare il turismo. A questo punto viene da chiedersi se a Roma si siano accorti di quello che Verona sta realizzando oppure se, dopo aver proclamato il 2018 l’anno nazionale del cibo italiano e avere costituito un comitato scientifico, tutto resti solo un proclama fatto in tempo di elezioni.
Paolo Massobrio