Si è tenuta venerdì scorso, 11 maggio, l’ultima festa del Seminario interdiocesano di Betania, alla presenza di oltre un centinaio di partecipanti, in rappresentanza delle diocesi di Alessandria, Asti, Casale, Acqui e Tortona. Un addio, per il seminario, o solo un arrivederci? Lo abbiamo chiesto a don Carlo Rampone, che a Betania ha trascorso gli ultimi sette anni: tre da vice e quattro da rettore.
Don Carlo, una festa un po’ particolare, questa…
«Per noi è stato un momento molto significativo. Ci siamo affidati a Maria e abbiamo concluso con una piccola processione notturna. Erano presenti i vescovi delle cinque diocesi, una rappresentanza del Serra club e tutti coloro che sono amici del seminario, e che hanno contribuito in vario modo a questi 11 anni insieme. Il vescovo di Alessandria ha portato il suo saluto dicendo che il cammino di collaborazione tra le diocesi, anche se si chiude l’esperienza del seminario, proseguirà nei diversi ambiti della pastorale giovanile e vocazionale. La casa continuerà, con altre prospettive, nel suo servire la Chiesa. Io sarò in diocesi ad Asti, continuerò la mia opera rimanendo nell’ambito vocazionale».
Lei che cosa ha imparato in questi anni?
«Il seminario è un po’ il cuore delle diocesi. Per me è stato un grande arricchimento, anche per la comprensione delle ricchezze delle nostre diocesi, per conoscere il clero con le sue peculiarità. E’ stato un allargare l’orizzonte. Mi è servita tanto la riflessione in comune con gli altri educatori, sacerdoti e laici, anche per delineare la figura del prete per i prossimi anni».
Come dovrà essere questa figura?
«Di certo dovrà cambiare. Il “nuovo” sacerdote dovrà essere ricco umanamente, capace di relazione, molto centrato su una spiritualità forte che gli permetta di sostenere le sfide dell’oggi. Un uomo di Vangelo, insomma, ma di un Vangelo portato a tutti, in un contesto in cui il cristianesimo vissuto e praticato è minoranza. Occorrerà una capacità di incontrare chi non frequenta, ascoltandolo».
Crisi delle vocazioni: è il Signore che non chiama, o siamo noi che non lo ascoltiamo più?
«La fatica dell’ascolto c’è, soprattutto per un giovane immerso in una quantità impressionante di messaggi, e spesso con una fatica familiare sulle spalle. Diciamo che la ricezione del messaggio è un po’ disturbata… credo anche che oggi la vocazione venga scoperta più in là nell’età, rispetto al passato. Penso si debba fare attenzione al mondo adulto, perché il contesto è cambiato e certe scelte si fanno più avanti».
Che cosa augura ai seminaristi che stanno per prendere altre strade?
«Auguro loro di rielaborare ciò che qui hanno ricevuto, e che il nuovo cammino sia altrettanto stimolante, nelle esperienze caritative che faranno e nei nuovi incontri. Mi auguro che possano continuare a lavorare in rete, come è stato finora. Che sia il loro stile di prete».
Andrea Antonuccio