«Ho incontrato il Papa, insieme con i miei confratelli della Cei. L’incontro è stato molto bello: il Santo Padre ci ha parlato di sinodalità, rapporto tra vescovi e presbiteri, riforma del processo matrimoniale». Così ci ha detto il nostro vescovo, monsignor Guido Gallese, impegnato a Roma all’assemblea dei vescovi italiani. Gli abbiamo chiesto di dettagliarci meglio i contenuti dei tre punti che il Papa ha affrontato con i Pastori italiani.
Eccellenza, partiamo dal primo: la sinodalità. «Il Papa ha detto che il rapporto tra i vescovi si esprime compiutamente nella collegialità, un modo comunionale di esercitare il ministero episcopale». Lei come vive questa collegialità con gli altri vescovi?
«La vivo principalmente nel contesto della Cep (la Conferenza episcopale piemontese, ndr). Io sono dell’idea che dovremmo viverla molto di più». Perché? «Anche se “tecnicamente” Alessandria è una diocesi media, come tante altre, in realtà siamo piccoli. Soprattutto in questo momento in cui, per la forte diminuzione del clero diocesano e religioso, fatichiamo ad avere al nostro interno carismi forti in tutti i settori della pastorale».
Ci può spiegare?
«Intendo dire che se i preti attivi sono circa 40, e le parrocchie 74, difficilmente posso trovare sacerdoti che riescano a occuparsi con continuità dei settori pastorali della diocesi, che sono una trentina. Senza contare gli assistenti spirituali che seguono le varie realtà associative… Come si può ben capire, siamo in un contesto in cui non c’è un numero sufficiente di carismi in tutti campi, cosa che invece su più diocesi sarebbe possibile. Certo, è molto scomodo, perché camminare insieme ad altri significa camminare con alcuni vincoli in più. Tuttavia il servizio che si offre al popolo di Dio è di una qualità notevolmente più alta».
Passiamo al punto relativo al rapporto tra vescovo e presbiteri.
«Beh, è uno snodo fondamentale, come ha detto il Papa, il quale ha fatto un richiamo a mio parere molto felice alla paternità. Come in tutto il resto della vita sociale, il senso della paternità è andato perduto».
Allora la prima paternità è quella del vescovo verso i suoi sacerdoti?
«Nell’incontro privato con il Papa, un mio confratello diceva che il vescovo si trova a un bivio, di fronte al quale scegliere se essere padre o essere manager. E Francesco ha risposto che “il vescovo è il fondamento, il padre della Chiesa. Senza vescovo non c’è Chiesa!”».
E veniamo al terzo punto, quello sul processo matrimoniale. Il Papa si è espresso in questi termini: «Mi rammarica constatare che la riforma, dopo più di quattro anni, rimane ben lontana dall’essere applicata nella gran parte delle diocesi italiane». Urca…
«Sì, Francesco si è lamentato con noi vescovi italiani del fatto che la riforma non sia stata applicata, se non in piccola parte. Quando l’ho sentito dire quelle parole, mi sono chiesto: “Ma le mie orecchie stanno ascoltando veramente quello che capisco?”. E per non sbagliarmi ho chiesto al mio vicino: “Perché dice che noi non abbiamo messo in pratica la riforma matrimoniale?”. E lui mi ha risposto: “Perché sostanzialmente abbiamo conservato i tribunali regionali”. Questo per me ha avuto un duplice effetto: da una parte sono contento di aver colto il desiderio del Santo Padre, dall’altra sono rimasto sorpreso perché non avevo capito che questa fosse una direttiva obbligatoria e univoca. Perlomeno, così non avevo letto. In ogni caso questa conferma sulla linea da me scelta mi ha incoraggiato e mi ha fatto pensare sorridendo (finalmente!) alle traversie passate. Ricordo ancora chiaramente lo sconforto che ho provato quando sono arrivato al corso della Rota Romana sul nuovo processo matrimoniale, e mi sono trovato come unico vescovo su più di 500 partecipanti. Ero l’unico vescovo del mondo, non solo d’Italia! Alla prima pausa sono andato sgomento dal Decano della Rota chiedergli se per caso mi ero sbagliato, o se avevo capito male il documento del Papa. E il decano mi ha risposto: “No, lei lo ha capito proprio bene!”. Ricordo i problemi avuti con alcuni addetti ai lavori che non hanno voluto partecipare al progetto del tribunale, mettendomi anche in difficoltà, perché non ritenevano che questa fosse la linea voluta da papa Francesco. Fortunatamente tutto questo è passato…».
Dopo questo monito, ci sarà un cambiamento?
«Non lo so. Vediamo come i miei confratelli rielaborano questo invito del Santo Padre. L’intento della riforma consiste in tre punti: prossimità, celerità e gratuità. Prossimità: essere vicini il più possibile alla gente; celerità: fare un processo veloce con l’abolizione della doppia sentenza conforme; gratuità: fare in modo che le persone che non possono permettersi di affrontare il processo siano aiutate anche dal punto di vista economico».
E dei giovani il Papa ha parlato?
«Ha fatto un accenno, nel contesto della sinodalità, presentando l’esempio di un vescovo (non ero io) che cammina, anche fisicamente, con i giovani. Ai giovani, ha detto il Santo Padre, piace vedere i vescovi in cammino. E ci ha esortati a camminare con loro! Poi il Papa aveva un impegno, e quindi per la prima volta non l’abbiamo salutato uno per uno al termine dell’assemblea. Tuttavia, dal momento che io abito in questi giorni a Santa Marta, quando è uscito e io ero già fuori lungo la strada, Francesco si è fermato, mi ha salutato e mi ha chiesto: “Allora, i giovani come vanno?”. Io gli ho risposto: “Bene, Santità. Sempre meglio!”. E lui ha sorriso».
Andrea Antonuccio