Tre posizioni sul fine vita: rosso (“no”), giallo (“forse”) e verde (“sì”)
«Non comprendiamo come si possa parlare di libertà. Stiamo assistendo a una deriva della società, dove il più debole viene indotto in uno stato di depressione e finisce per sentirsi inutile. Si creano i presupposti per una cultura della morte, in cui la società perde il lume della ragione» Commenta così il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, monsignor Stefano Russo, sulla sentenza della Consulta sul suicidio assistito. «È difficile parlare di una frattura tra Stato e Chiesa. Siamo sempre stati attenti al dialogo» ribadisce monsignor Russo.
«È anomalo che un pronunciamento così forte e condizionante sul suicidio assistito arrivi prima che ci sia un passaggio parlamentare. In Europa è la prima volta che accade» ha precisato il vescovo che poi aggiunge: «Saremo attenti e vigilanti a tutela della vita delle persone, soprattutto di chi si trova in situazioni di disagio, di difficoltà, di malattia». «I medici sono per la vita, e non per intervenire sull’interruzione anticipata della vita delle persone» risponde il segretario generale della Cei. «Il Codice deontologico dei medici non prevede questa possibilità. Siamo arrivati in modo unitario e compatto a manifestare la nostra attenzione, che non è solo un’attenzione in quanto credenti ma un’attenzione al bene comune» aggiunge monsignor Russo. E su possibili iniziative della Chiesa, il vescovo conclude: «Lo faremo in stile di confronto e di rispetto per le persone, e in uno spirito di dialogo costruttivo».
«Da giurista e da cattolico, mentre non ho dubbi che esista un diritto alla vita, perno di tutti i diritti della persona, dico che è da dubitare ci sia un diritto alla morte». Queste le parole del Presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte durante un’intervista a Ceglie Messapica. «Bisogna fare una legge sul fine vita: ci sprona a farlo la stessa Corte costituzionale. Leggeremo la sentenza per intero quando tra un mesetto sarà depositata ma l’intervento della Corte non può sostituire un intervento legislativo.
L’avevo detto anche quando ho chiesto la fiducia in sede di replica in Parlamento. Ho sollecitato le forze politiche ad assumere l’iniziativa anche perché su questi argomenti: Non mi sembra appropriata un’iniziativa governativa. Anche perché sono materie laceranti sul piano morale, con tante implicazioni anche filosofiche: farne una questione di governo no» prosegue il premier. «È giusto che ci sia un confronto sereno, serio, in Parlamento. Non voglio far pesare la mia opinione personale: da giurista e da cattolico mentre non ho dubbi che esista un diritto alla vita, perno di tutti i diritti della persona, dico che è da dubitare ci sia un diritto alla morte. Esiste un diritto all’autodeterminazione per cui scelgo le mie cure ma scegliere di essere avviato alla morte e chiedere l’ausilio di personale qualificato può essere un po’ dubbio» conclude Conte.
«Da oggi siamo tutti più liberi, anche chi non è d’accordo. Aiutare Dj Fabo per me era un dovere. La Consulta finalmente ha stabilito fosse un suo diritto». «È una vittoria della disobbedienza civile, mentre i partiti giravano la testa dall’altra parte. Grazie, grazie a tutti» è il commento di Marco Cappato tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, sotto processo per aver accompagnato Dj Fabo a morire in Svizzera. «Fabo mi ha chiesto di accompagnarlo in Svizzera. Ho detto di sì» aveva scritto Cappato.
E Dj Fabo, nel suo addio su Twitter: «Sono finalmente arrivato in Svizzera, e ci sono arrivato purtroppo con le mie forze e non con l’aiuto dello Stato. Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore, di dolore, di dolore. Questa persona si chiama Marco Cappato e la ringrazierò fino alla morte». Ricorda Cappato: «Ha morso un pulsante per attivare l’immissione del farmaco letale: era molto in ansia perché temeva, non vedendo il pulsante essendo cieco, di non riuscirci. Al mio rientro in Italia, andrò ad autodenunciarmi». Dopo due richieste di archiviazione respinte, Cappato chiede di andare immediatamente a processo, saltando l’udienza preliminare. «Ho chiesto il giudizio immediato perché voglio che in Italia finalmente si possa discutere di come aiutare i malati a essere liberi di decidere fino alla fine».