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«Era un uomo riservatissimo, ma dal cuore grande e attento ai poveri»

Monsignor Giampaolo Crepaldi

Monsignor Giampaolo Crepaldi, classe 1947, è Arcivescovo di Trieste dal 2009. Come direttore dell’Ufficio episcopale per i problemi sociali e il lavoro, nel 1986 incontrò monsignor Charrier, di cui divenne fidato collaboratore. E non solo.

Eccellenza, ci racconta come ha conosciuto monsignor Charrier?

«L’ho conosciuto alla Cei, dove lui era direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali. Per più di un anno mi chiese alcune collaborazioni su tematiche inerenti all’Ufficio, poi divenni suo successore».

Che cosa la colpiva di più di lui?

«Sul piano umano mi colpiva in modo particolare la sua capacità di tenere uniti, nelle relazioni con gli altri, un tratto distinto nel comportamento insieme a una grande semplicità e spontaneità. Mi permetta di sottolineare un altro aspetto: era uomo riservatissimo e poco incline a manifestazioni esterne di natura emotiva ma, nello stesso tempo, era un uomo dal cuore grande e attento ai poveri».

Nel 1986 lei è stato nominato direttore dell’Ufficio episcopale per i problemi sociali e del lavoro della Conferenza Episcopale Italiana. Com’era collaborare con monsignor Charrier?

«Quando divenni direttore, lui, già vescovo, divenne presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali. Per me era una garanzia di sicurezza e un punto di riferimento. Tra i tanti ricordi voglio qui menzionare lo sforzo fatto, in un periodo storico complesso e difficile, di rilanciare nella Chiesa italiana la Dottrina sociale della Chiesa, aderendo con determinazione ed entusiasmo alle sollecitazioni pressanti che giungevano da san Giovanni Paolo II».

Con lui maturò un’attenzione alla formazione dei presbiteri alla Dottrina sociale della Chiesa

Monsignor Crepaldi, il 17 luglio 2021 lei ha festeggiato il 50° di Ordinazione presbiterale. Che cosa ha imparato da monsignor Charrier sul sacerdozio?

«Charrier era un prete a tutto tondo. Sapeva coniugare, senza indebite forzature, il momento propriamente spirituale con un’attenzione alle questioni sociali. Con lui maturò nella Chiesa italiana un’attenzione non accessoria, ma fondamentale e necessaria, alla formazione dei presbiteri alla Dottrina sociale della Chiesa. Quella sua intuizione andrebbe ripresa e rilanciata».

Nel 2003 lei ha anche fondato l’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuân” sulla Dottrina sociale della Chiesa. Le chiedo: ha ancora senso parlare di “Dottrina sociale”? E come la Chiesa può farsi ascoltare in un mondo secolarizzato?

«È proprio in un mondo secolarizzato che c’è bisogno della Dottrina sociale della Chiesa. È proprio in un mondo che sta perdendo il senso della persona umana, del bene comune, della solidarietà e della sussidiarietà che c’è bisogno di questa dottrina che articola il mondo economico e quello politico, a partire dai principi della centralità della persona umana e del bene comune. L’Osservatorio che ho fondato ha proprio questa precisa intenzionalità».

Il cardinal François Xavier Nguyen van Thuân, per il quale è stato aperto il processo di beatificazione, per la sua fede è stato perseguitato, arrestato e sbattuto in prigione in Vietnam per ben 13 anni (di cui nove in isolamento), dal 1975 al 1988. Perché dedicargli un osservatorio proprio sulla Dottrina sociale?

«Dopo i dieci anni alla Cei passai a svolgere il mio ministero presso la Santa Sede, esattamente presso il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace dove incontrai il grande e santo Cardinale, che era un innamorato della Dottrina sociale della Chiesa. A Lui si deve il progetto del Compendio della Dottrina sociale. Alla sua morte mi venne dal cuore l’ispirazione di dedicare alla sua persona l’Osservatorio e le sue attività».

Andrea Antonuccio

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