La storia di Alessandro Venturelli, il giovane scomparso a Sassuolo nel 2020
L’INTERVISTA
«Il pensiero è sempre Alessandro. Svegliarsi al mattino è dura, bisogna trovare una motivazione davvero grande. Perché, certe volte, di voglia non ce n’è proprio più. Però mi alzo con la speranza nel cuore, e dico: “Dai, che magari oggi è il giorno buono”. Così, si riparte…». La voce, tremante e rotta dalla commozione, è quella di Roberta Carassai, 56 anni, madre di Alessandro Venturelli, il 21enne scomparso da Sassuolo sabato 5 dicembre 2020.
«Alessandro era un ragazzo come tutti, aveva una vita normale. Usciva e aveva un sacco di amici. Si era diplomato e stava cercando lavoro. Aveva avuto due esperienze lavorative, ma non gli erano piaciute, così cercava qualcosa di diverso, ma nel frattempo stava frequentando un corso di inglese. Poi dall’oggi al domani ha cominciato a cambiare». Qualcosa si rompe nella vita di Alessandro, e inizia a comportarsi in maniera ambigua. Si sente in pericolo, ha paura e decide di scappare di casa. Ma lo fa in modo strano, di fretta, un sabato qualunque, come se stesse fuggendo da qualcosa o da qualcuno. Da quel momento sparisce nel vuoto e da 14 mesi non si hanno sue notizie. Dopo poche ore dalla scomparsa, sono iniziate le ricerche, mai interrotte, che portano ogni settimana a diverse segnalazioni. Questo grazie all’attenzione dei cittadini comuni (sui social, in particolare) e, soprattutto, anche grazie alla trasmissione di Raitre “Chi l’ha visto?“, in cui la scorsa settimana il capitano e l’allenatore del Sassuolo sono apparsi per lanciare un appello: «Alessandro uno di noi… ti aspettiamo presto» le parole di Magnanelli e Dionisi. E proprio la squadra neroverde, nella gara di domenica prossima, in casa contro la Roma, farà apparire sul maxischermo la foto del giovane.
Tutti insieme, per non spegnere la speranza e dare luce alla storia di Alessandro: una delle tante, troppe, storie di persone scomparse nel nostro Paese. E dietro a ognuna di esse, ci sono familiari e amici che rimangono nell’oblio, giorno dopo giorno, senza risposte. Storie di sofferenza. Una sofferenza immensa che nemmeno si può immaginare e che riusciamo a capire soltanto un po’, quando ci mettiamo in contatto telefonico con Roberta. Una donna forte, fortissima, che ogni giorno, con suo marito Roberto, si alza dal letto con la speranza di vedere tornare a casa suo figlio, Alessandro. E di poterlo riabbracciare, forte, tra le sue braccia.
Roberta, cosa succede tra novembre e dicembre 2020?
«Tutto è iniziato circa dieci giorni prima. Alessandro ha avuto un declino, ha iniziato a dire che aveva paura, si sentiva manipolato. Prendeva il numero di due targhe della macchina, in particolare, che passavano sotto casa nostra, perché diceva di non averle mai viste. Voleva dormire con me, si sentiva in pericolo. E poi ogni volta, prima di uscire: “Mamma, quando vai in giro, stai attenta”».
E lei e suo marito?
«Noi non abbiamo fatto in tempo a intervenire, la situazione è precipitata. Alle nostre richieste di spiegazioni lui non voleva parlare. Ripeteva: “Io devo crescere, devo crescere”. Siamo riusciti soltanto a portarlo da uno psicologo, ma le cose che diceva qui a casa, le ha ripetute anche lì. Ne sono certa di questo, Alessandro voleva partecipassi anche io alle sedute».
Arriviamo a sabato 5 dicembre 2020.
«Mio figlio aveva 20 anni, la massima libertà, la sua macchina. Sarebbe potuto scappare in modo più pacifico, senza dare nell’occhio. Poteva partire durante la settimana, mentre eravamo a lavoro. Ma non è stato così. Alessandro prepara lo zaino, con dentro dei vestiti, dello scotch e le chiavi dell’auto, che è rimasta a casa, lo getta dalla finestra e lo recupera dopo essere uscito. Suo padre lo intercetta prima che esca dal cancello e lo convince a salire in macchina con lui per parlare con calma, ma Alessandro fugge. E da lì non abbiamo più sue tracce (si ferma). Non ha preso con sé neanche il cellulare. È scappato, come se dovesse partire in quel preciso momento».
Poi?
«Abbiamo fatto una denuncia un’ora dopo l’accaduto. Era tutto talmente assurdo, non potevamo pensare in un suo immediato ritorno. Il lunedì dopo siamo andati a fare un’integrazione alla denuncia, dove abbiamo chiesto che non si trattasse quel caso come un allontanamento volontario. Avevamo capito che dietro c’era qualcosa, una setta, qualche individuo che lo stesse condizionando o un suo malessere. Ma non era un allontanamento volontario… tant’è che dopo 14 mesi siamo ancora qui».
Cosa può essere successo?
«La nostra grande paura è che Alessandro sia stato coinvolto in qualcosa più di grande di lui e di noi. Non c’era nessun motivo per fare una cosa del genere. Siamo una famiglia normale, ci possono essere state delle discussioni, come accade a tutti. Ma non è mai successo nulla che possa aver suscitato una reazione così».
Come si vive, quotidianamente, con questo peso?
«(Sospira) Non si vive. Semplicemente, non si vive. Purtroppo è un pensiero fisso, una sofferenza continua. Dopo più di un anno non sappiamo nulla. Questa è la cosa più straziante».
Da mamma qual è il suo “sesto senso”?
«Alessandro è vivo. E lo ripeto, Alessandro è vivo. Senza ombra di dubbio».
Ogni settimana arrivano segnalazioni sui social e in tv. Le vivete con ansia?
«L’esporci a 360 gradi è perché comunque speriamo di trovare la segnalazione giusta. Questa speranza va a compensare i commenti gratuiti che vengono fuori da chiunque, perché tanti si sentono autorizzati. Intanto, vorrei invitare chi non conosce la storia dall’inizio a non fare commenti fuori luogo. E poi vorrei evitare di ricevere chiamate solo per divertimento: chi chiama e si diverte, in una situazione così tragica, è una persona ignorante e triste. Avevamo messo in conto tutto questo, non pensavamo si arrivasse a tanta cattiveria. Ma questa cattiveria viene compensata da tante persone che ci stanno dando una mano per ritrovare Alessandro».
Dai dati del Ministero dell’Interno, nel 2021 sono 17.650 le denunce di scomparsa. L’81,62% di queste vengono etichettate come “allontanamento volontario”.
«Credo che una persona che si allontana, come Alessandro, stia facendo un gesto che in una situazione normale non fa. Ecco, in queste condizioni, il termine “allontanamento volontario” non deve esistere. Chi si allontana volontariamente ha dei motivi, può dire: “Vado in quel posto, ci sto per un po’. Non mi cercate”. Non si comporta come ha fatto mio figlio e moltissime delle 17 mila persone scomparse. Devo dire che in questi casi si cerca un corpo, non un ragazzo ancora vivo».
Lei crede? È arrabbiata con Dio?
«Sono molto arrabbiata con Dio. Molto arrabbiata. Sono una credente, non pratico, ma credo molto. Perché mi sono meritata una sofferenza del genere? Chiedo a Dio di riportarmelo a casa, prego di farmi sapere che sta bene. Di porre fine a questo incubo, perché questa non è più vita. Non se lo merita neanche Alessandro, perché nei suoi 20 anni aveva già dato…».
Parla dell’incidente?
«Sì, mio figlio è stato in coma per diverso tempo, a causa di un incidente in moto, nel 2016. Fortunatamente ne è uscito, anche grazie a un anno di riabilitazione. E anche dopo quell’episodio non aveva mai manifestato alcun disagio di tipo psicologico. Ma è stato un passaggio bello pesante, che lo ha segnato».
Domenica la foto di Alessandro sul maxischermo, prima di Sassuolo-Roma. Lei, intanto, ha un appello per chi ci legge?
«Chiedo di continuare a darci una mano, con tutta l’attenzione che tutti hanno mostrato in questi mesi. Se avete un dubbio e pensate di aver visto Alessandro, non abbiate paura di fare una foto e di segnalare alle Forze dell’ordine. Non bisogna perdere tempo, ma segnalare subito, altrimenti verificare diventa difficile. E se qualcuno sa qualcosa, che parli. Ve ne prego».
Se avesse Alessandro, in questo istante, davanti a lei, cosa le direbbe?
«Non gli direi niente, lo abbraccerei soltanto. Sarà lui, quando e come vorrà, a raccontarci tutto».
E se ci stesse leggendo?
«(Prende fiato) Alessandro, fatti sentire… nella maniera più serena e semplice possibile, basta anche un messaggio o una chiamata. Noi siamo qui, non ti giudicheremo mai per la tua scelta. Torna presto, ti aspettiamo a casa…».
Alessandro Venticinque
I NUMERI DEL 2021
Come se, dall’oggi al domani, una città come Valenza sparisse nel nulla. Dal 1° gennaio al 30 novembre 2021, in Italia, risultano 17.650 le denunce di scomparsa. Di queste 8.767 riguardano persone che sono state ritrovate, mentre quelle ancora da ritrovare sono 8.883: praticamente la metà. Questi sono solo alcuni dei dati del Ministero dell’Interno, contenuti nella XXVI relazione del Commissario straordinario del governo per le persone scomparse.
Ma quali sono le motivazioni della scomparsa? Nell’81,62% dei casi, secondo quanto emerge dalle denunce alle Forze di Polizia, si tratta di «allontanamento volontario». Percentuale che corrisponde in numeri assoluti a 14.406 casi di scomparsa, 9.656 dei quali riguardano minorenni, prevalentemente stranieri (6.960). Ma l’aspetto che spaventa di più e che questo è un trend in crescita: nel 2020 le denunce erano 13.527; mentre un anno prima, nel 2019, erano 15.205.
Un’emergenza, in costante aumento, che non sembra avere soluzione. E di cui sentiamo parlare poco o niente, sia nelle pagine dei quotidiani nazionali sia nei tg. Proprio per questo, qui, su Voce, non è la prima volta che trattiamo degli “scomparsi“. Lo facciamo, e lo faremo ancora, per dare voce a tutte quelle storie di famiglie distrutte, che vivono in un limbo tra speranza e dramma. Lo facciamo per dare un volto a tutti questi numeri, che non possono e non devono rimanere soltanto numeri. Lo facciamo, e lo faremo ancora, nella speranza che quelle storie e quei volti che, dall’oggi al domani, sono sparite nel nulla, possano tornare a casa.
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