“La testa e la pancia” di Silvio Bolloli
Nel momento in cui andiamo “in macchina” si sta svolgendo la conferenza stampa dell’attuale direttore sportivo dell‘Alessandria Fabio Artico, da molti additato come uno dei maggiori responsabili della clamorosa retrocessione dei Grigi. Perché clamorosa? Non tanto per il dato in sé… una retrocessione, al quartultimo posto e dopo essersela giocata fino alla fine, ci può pure stare da parte di una squadra che mancava dal campionato cadetto da quasi mezzo secolo.
No, il clamore qui nasce soprattutto dall’incapacità dell’Alessandria di trovare il gol, anche solo di avvicinarvisi, in occasione dell’ultimo incontro casalingo contro una Lanerossi Vicenza che comunque le stava alle spalle in classifica e soprattutto dallo sconforto all’idea di veder vanificare tutti gli sforzi fatti per riconquistare l’agognata categoria dovendo ricominciare da zero (o quasi). Sono pronto a scommettere che i corsivi delle prossime settimane saranno dedicati a questo tema, di così bruciante e per certi versi drammatica attualità per cui, oggi, mi sento solo di tracciare un primo sommario bilancio ipotizzando una graduazione dei colpevoli.
Certamente, al primo posto, c’è la società per non aver saputo allestire un organico adeguato e, quando parlo di società, non alludo soltanto alle scelte di mercato in senso stretto (qui, ovviamente, il pensiero corre a Fabio Artico) ma anche a chi quelle scelte le ha avallate, a cominciare dalla decisione di tributare fiducia proprio alle figure che dovevano occuparsene. Poi, ci sarebbe molto da dire anche sul coordinamento tra scrivania e panchina – rectius tra il ds di cui ho appena parlato e l’allenatore – considerazione, quest’ultima, che nasce spontanea dall’evidenza del pressoché integrale mancato impiego dei numerosi giocatori quivi giunti in occasione della campagna di rafforzamento (?) del mese di gennaio.
Da ultimo, e per oggi preferisco fermarmi qui, non chiamerei del tutto fuori l’allenatore perché, quando una squadra non tira praticamente in porta una volta per novanta minuti nella partita più importante della stagione, la colpa non è solo di chi scende in campo ma anche del modo in cui gli uomini sono stati selezionati e dai compiti che sono stati a loro impartiti. E io, che zemaniano non sono mai stato, all’ultima di campionato, a un certo punto ho sognato di avere il boemo in panchina.