Messaggio per la Giornata mondiale dei poveri del 13 novembre
«Una sana provocazione per aiutarci a riflettere sul nostro stile di vita e sulle tante povertà del momento presente». Così il Papa, nel suo Messaggio diffuso martedì 14 giugno, definisce la VI Giornata mondiale dei poveri, che si celebra quest’anno il 13 novembre sul tema: «Gesù Cristo si è fatto povero per voi» (cfr 2 Cor 8,9).
«Qualche mese fa, il mondo stava uscendo dalla tempesta della pandemia, mostrando segni di recupero economico che avrebbe restituito sollievo a milioni di persone impoverite dalla perdita del lavoro», ricorda Francesco: «Si apriva uno squarcio di sereno che, senza far dimenticare il dolore per la perdita dei propri cari, prometteva di poter tornare finalmente alle relazioni interpersonali dirette, a incontrarsi di nuovo senza più vincoli o restrizioni». «Ed ecco che una nuova sciagura si è affacciata all’orizzonte, destinata ad imporre al mondo uno scenario diverso», il riferimento alla guerra in Ucraina, che «è venuta ad aggiungersi alle guerre regionali che in questi anni stanno mietendo morte e distruzione». «Ma qui il quadro si presenta più complesso per il diretto intervento di una “superpotenza”, che intende imporre la sua volontà contro il principio dell’autodeterminazione dei popoli», denuncia il Papa: «Si ripetono scene di tragica memoria e ancora una volta i ricatti reciproci di alcuni potenti coprono la voce dell’umanità che invoca la pace».
«Sono milioni le donne, i bambini, gli anziani costretti a sfidare il pericolo delle bombe pur di mettersi in salvo cercando rifugio come profughi nei Paesi confinanti, scrive Francesco: «Quanti poveri genera l’insensatezza della guerra! Dovunque si volga lo sguardo, si constata come la violenza colpisca le persone indifese e più deboli. Deportazione di migliaia di persone, soprattutto bambini e bambine, per sradicarle e imporre loro un’altra identità».
Il Papa elogia la «disponibilità che, negli ultimi anni, ha mosso intere popolazioni ad aprire le porte per accogliere milioni di profughi delle guerre in Medio Oriente, in Africa centrale e ora in Ucraina». «Le famiglie hanno spalancato le loro case per fare spazio ad altre famiglie, e le comunità hanno accolto con generosità tante donne e bambini per offrire loro la dovuta dignità», osserva Francesco. Tuttavia, «più si protrae il conflitto, più si aggravano le sue conseguenze. I popoli che accolgono fanno sempre più fatica a dare continuità al soccorso; le famiglie e le comunità iniziano a sentire il peso di una situazione che va oltre l’emergenza».
L’appello: «Ciò che abbiamo iniziato ha bisogno di essere portato a compimento con la stessa responsabilità». «Nulla di più nocivo potrebbe accadere a un cristiano e a una comunità dell’essere abbagliati dall’idolo della ricchezza, che finisce per incatenare a una visione della vita effimera e fallimentare», la denuncia del Papa: «Davanti ai poveri non si fa retorica, ma ci si rimbocca le maniche e si mette in pratica la fede attraverso il coinvolgimento diretto, che non può essere delegato a nessuno». A volte, invece, «può subentrare una forma di rilassatezza, che porta ad assumere comportamenti non coerenti, quale è l’indifferenza nei confronti dei poveri». Succede, inoltre, che «alcuni cristiani, per un eccessivo attaccamento al denaro, restino impantanati nel cattivo uso dei beni e del patrimonio».
Il problema non è il denaro in sé, ma «il valore che il denaro possiede per noi: non può diventare un assoluto, come se fosse lo scopo principale». «Non si tratta, quindi, di avere verso i poveri un comportamento assistenzialistico: è necessario invece impegnarsi perché nessuno manchi del necessario», la ricetta di Francesco: «Non siamo al mondo per sopravvivere, ma perché a tutti sia consentita una vita degna e felice».
«C’è una povertà che umilia e uccide, e c’è un’altra povertà», quella di Gesù, «che libera e rende sereni». «La povertà che uccide è la miseria, figlia dell’ingiustizia, dello sfruttamento, della violenza e della distribuzione ingiusta delle risorse», spiega il Papa. La povertà che libera, al contrario, «è quella che si pone dinanzi a noi come una scelta responsabile per alleggerirsi della zavorra e puntare sull’essenziale».
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