Parla la coordinatrice del Servizio nazionale per la tutela dei minori della Cei
Si è tenuta giovedì 6 ottobre, a Roma, la giornata di studio dedicata alla “indagine previa” che precede, a novembre, la pubblicazione del primo report nazionale sugli abusi su minori nella Chiesa italiana. L’incontro è stato promosso dal Servizio nazionale per la tutela dei minori nell’ambito dell’attuazione dei cinque passi per lotta agli abusi elaborati dai vescovi italiani, durante l’Assemblea generale dello scorso maggio. Presidente di questo Servizio è monsignor Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna-Cervia. Con lui collabora anche la coordinatrice Emanuela Vinai (nella foto qui sotto), 49 anni, giornalista dell’agenzia Sir. L’abbiamo contattata per fare il punto sulle attività svolte negli ultimi anni e per capire in quale direzione stia andando la Chiesa per affrontare uno dei temi più complessi e scottanti che la riguarda: quello della tutela dei minori e delle persone vulnerabili.
Dottoressa Vinai, partiamo dall’incontro del 6 ottobre. Quali risposte sono emerse?
«È emersa la necessità di formazione su questi temi. Lo abbiamo riscontrato dalla grande e bella risposta, non solo in termini di adesione, ma anche di partecipazione. Per i presenti è stata una vera e propria opportunità di confronto: dopo le relazioni tematiche infatti, c’è stato spazio per diverse domande e approfondimenti. C’è un interesse sul tema e su questo momento pre-processuale dell’indagine. Un momento importante, perché da qui tutto può partire o può fermarsi. È stato un momento di formazione per chi opera nei centri di ascolto, i punti di accoglienza diocesani in cui è possibile chiedere informazioni e segnalare un possibile abuso. Anche per chi accoglie queste persone occorrono una preparazione e una competenza tali da poter svolgere il servizio nel miglior modo possibile».
Un passo verso novembre, quando verrà pubblicato il primo report nazionale sugli abusi, avviato dalla Cei, con dati raccolti nel periodo tra il 2020 e il 2021.
«L’auspicio che è stato fatto dal cardinal Zuppi, al termine dell’Assemblea generale dei Vescovi, è che i dati di questo report siano pubblicati il 18 novembre, proprio per la seconda Giornata nazionale di preghiera per le vittime e i sopravvissuti di abusi. Sarà una fotografia dei primi numeri raccolti dai centri di ascolto ed elaborati dai ricercatori dell’Università Cattolica».
Che cosa vi aspettate da questi dati?
«Per prima cosa, servono anche a noi come strumento di lavoro. Attendiamo i risultati delle attività svolte dai servizi regionali, diocesani e dai centri di ascolto del territorio per capire meglio le richieste, le criticità e i punti di forza. Non ci aspettiamo un qualcosa di predefinito, ma la fotografia di una struttura, una rete che è nata da poco tempo. Le “Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili” della Cei, infatti, sono state pubblicate del 2019. Da lì è partito tutto. In mezzo, ricordiamolo, c’è stata la pandemia e i lockdown. Ci aspettiamo quindi delle indicazioni per poter migliorare i nostri servizi. Ma vorrei aggiungere anche una cosa…».
Prego.
«Questo report fa parte di un progetto più vasto. Non ci interessano soltanto i dati statistici, ma puntiamo a delineare una realtà per capire come stiamo lavorando, quali attività stanno funzionando e qual è l’efficacia dell’azione pastorale. Perché, è bene chiarirlo, questi centri non sostituiscono l’attività giudiziaria, ma sono un servizio pastorale. Che si pone tre obiettivi: prevenzione, formazione e accoglienza».
In alcuni Paesi europei, come Francia e Germania (ma anche la Spagna, nell’ultimo anno), è già stato pubblicato un report generale sugli abusi su minori all’interno della Chiesa cattolica. In Italia verrà fatto a breve?
«Intanto partiamo con il rapporto di novembre, che è già un passo avanti. Poi, da lì, si vedranno le azioni successive».
Secondo lei, perché la Chiesa italiana ha aspettato così tanto, scegliendo una strada diversa rispetto ad altri Paesi?
«I passi si stanno facendo, l’impegno della Chiesa italiana è autentico e segue quanto indicato dal Papa. Percorre una promessa di fedeltà per tutto il Popolo di Dio, e vuole riconoscere le ferite. Come peraltro è stato deciso dai vescovi nell’Assemblea di maggio, il piano di lavoro per i prossimi anni prevede, tra i cinque punti, proprio la realizzazione di un report nazionale e l’obiettivo di aumentare la presenza e la diffusione dei centri di ascolto. La Chiesa italiana mette in campo la volontà di avere dati concreti, certi. Per questo ci vuole tempo. E la scelta di agire con questo stile e con questa struttura ci permette di far partire una rilevazione reale di quanto sia avvenuto. Sugli episodi avvenuti negli anni precedenti si troverà una modalità differente. Non per cercare di arrivare a una verità “presunta”, e dare alcuni dati in pasto ai media. Ma per consentire di avere realmente giustizia. Quando si mette in campo un processo di risanamento non servono scorciatoie, ma serve del tempo. Grazie a questo diamo un messaggio di chiarezza e trasparenza».
In che modo la Chiesa può riparare a un abuso?
«Credo che la riparazione della Chiesa sia, per prima cosa, riconoscere il proprio peccato. E comprendere la gravità di quanto realizzato. Perché, come ha detto anche il cardinal Sean Patrick O’Malley (Arcivescovo Metropolita di Boston, da sempre in prima linea contro la pedofilia nella Chiesa, ndr), non dobbiamo aver paura di riconoscere il male che è stato fatto. Serve, quindi, una conversione che possa offrire una cura pastorale alle vittime, rispondendo con giustizia a quanto avvenuto. Se c’è una risposta di giustizia e contrizione, si arriva a una guarigione. Altrimenti se mancano verità, giustizia e riconoscimento del dolore provocato allora sarà difficile trovare una soluzione al problema. Bisogna sviluppare un dialogo, non difensivo, con tutte le persone coinvolte. Offrire ascolto e sostegno, e impegnarsi a lavorare insieme per la giustizia. Che è la via maestra per arrivare a una riconciliazione autentica».
Però, chi ha subito abusi da un componente della Chiesa difficilmente riuscirà a intraprendere un percorso pastorale con altri componenti della stessa Chiesa.
«Siamo i primi a sapere che per una persona abusata il passaggio del perdono è il più difficile da compiere. Ma il primo passo lo deve fare la Chiesa. E lo vediamo con l’istituzione della preghiera nazionale del 18 novembre, in cui è come se la Chiesa volesse dire: “Preghiamo perché abbiamo commesso degli errori. E chiediamo perdono per questi fatti”. Già questa richiesta di perdono è un segno forte. Ci vuole del tempo, ma la Chiesa sta facendo tutti i passi per dare massima accoglienza: dall’ascolto fino al recupero della fiducia dei suoi fedeli. Perché è necessario compiere passi decisi per essere credibili nella risposta».
Che cosa si sente di dire a chi ha subito abusi?
«Che non siete soli. Non siate sopraffatti dalla vergogna, dal timore. Ma come ha detto monsignor Ghizzoni, i nostri centri di ascolto hanno le porte aperte. La sensibilità è cresciuta, la cultura è cambiata: nei nostri centri troverete un sostegno, un’accoglienza, un ascolto autentico della vostra sofferenza».
Alessandro Venticinque