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Familiae cura: un corso per tutti

Ufficio famiglia

Diego Lumia e la moglie Larives Bellora (nella foto), responsabili dell’Ufficio famiglia della Diocesi di Alessandria, sabato 16 settembre parteciperanno insieme ai loro figli a Loreto al “16° Pellegrinaggio Nazionale della Famiglia per le famiglie”, organizzato dal Rinnovamento nello Spirito Santo e dall’Ufficio Cei Nazionale per la Famiglia. «Pregheremo per tutte le famiglie della nostra Diocesi portandole nella “casa di Nazaret” e chiedendo alla intercessione della Santa Famiglia la grazia di sante vocazioni al matrimonio, dono di Dio» dice Diego, che con la moglie ha anche partecipato, dal 6 al 16 luglio a La Thuile (AO), al corso di alta formazione “Familiae cura“, organizzato dall’Ufficio Cei nazionale per la Pastorale della famiglia, dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e dalla Confederazione Italiana consultori familiari di ispirazione cristiana. Gli abbiamo chiesto di raccontarcelo.

Diego, ci parli di “Familiae cura”?

«Il corso era rivolto a coloro che nelle diocesi si occupano di pastorale familiare nel quale sono stati affrontati, a grandi linee, i temi che riguardano la famiglia come oggetto e soggetto di evangelizzazione e di cura. Mia moglie e io abbiamo frequentato il corso del primo anno ma, contemporaneamente, da altre parti d’Italia alcuni hanno affrontato il corso del terzo anno, quello più avanzato e progettuale».

E di cosa si è parlato?

«Abbiamo trattato alcuni aspetti antropologici dell’uomo, della coppia e della famiglia, e gli aspetti psicologici: per esempio tutto ciò che ci portiamo dalla nostra generazione e che abbiamo ereditato dai nostri genitori e nonni. Successivamente abbiamo approfondito gli aspetti pedagogici, riflettendo su come educare la Comunità cristiana in tutte le fasi della famiglia: non solo nel periodo della preparazione al matrimonio, ma dalla nascita fino alla vecchiaia, perché siamo tutti parte di una famiglia. Come il Papa ci sta ricordando, noi dobbiamo vivere una pastorale sempre più integrata e non a compartimenti stagni. Quindi siamo invitati a lavorare con chi si occupa di iniziazione cristiana, gioventù, famiglia, sacramenti, liturgia, e anche di fine vita e fragilità. L’aspetto della famiglia e della pastorale familiare riguarda ognuno di noi e non pochi specialisti».

Chi erano i relatori?

«Erano tutti docenti, alcuni laici e altri sacerdoti, molto preparati, disponibili e aperti. Abbiamo avuto la possibilità di fare tantissime domande… Personalmente mi ha colpito don Luca Mazzinghi, che ci ha illustrato l’aspetto biblico della coppia nell’Antico e nel Nuovo Testamento, in particolare, approfondendo il Libro di Tobia, il Cantico dei Cantici e il Libro di Osea. Il tutto calato in maniera molto pratica nella vita delle coppie».

Come si può vivere in modo “pratico” un libro dell’Antico Testamento?

«Dopo aver approfondito gli aspetti storici o letterari di questi libri, abbiamo compreso anche la fragilità e l’umanità dei personaggi e, riportandoli ai giorni nostri, ci siamo accorti che ci somigliano molto: questo ci ha aiutato a scoprire l’umanità della Bibbia, ed è servito anche a me e Larives come lavoro interiore di coppia».

Qual è oggi il problema più grande per una famiglia?

«Innanzitutto, una difficoltà legata alla mancanza di una comunità che la accolga; c’è una visione individualista del matrimonio: due persone si sposano e non hanno una comunità con cui fare un percorso insieme. A volte questa opportunità non c’è, a volte non è cercata., questo perché la visione individualista c’è anche nella coppia dove ognuno punta ad avere il suo spazio: non ci si concepisce insieme. Allo stesso tempo ci si sposa di meno, o comunque non si sogna più di fare famiglia., anche perché non si vedono più tanti esempi gioiosi…».

Come mai?

«Se anni fa vivevamo in una cultura cristiana, oggi non è più così. E le famiglie che potrebbero essere un esempio magari non le conosciamo: ecco perché siamo chiamati a raccontare la bellezza della vita sponsale cristiana. Ma c’è la paura di essere considerati bigotti o di non lasciare nessun messaggio. Però ritornare a testimoniare, anche attraverso i mezzi che abbiamo a disposizione, penso sia importante. Non si può parlare solo delle cose negative della Chiesa, ci sono dei semi, ci sono dei germogli che stanno venendo fuori. E noi, anche facendo questo corso, abbiamo incontrato tantissime testimonianze di famiglie impegnate e gioiose che, nonostante le difficoltà della vita, sono lì a testimoniare la bellezza del matrimonio».

Quindi non è stato solo un corso.

«Intanto abbiamo visto l’immagine di una Chiesa come famiglia di famiglie, una grande fraternità con il piacere di stare insieme e condividere, anche con bei momenti di festa che ci hanno legato moltissimo e sono stati un po’ la miccia che ha acceso delle relazioni che poi sono continuate nei giorni successivi. È stato utile per instaurare nuove amicizie, anche molto profonde, e conoscere i progetti di altre diocesi».

Con che cosa siete tornati a casa?

«Con il desiderio di essere più vicini alla nostra comunità. Ne abbiamo parlato anche con il direttore nazionale padre Marco Vianelli e Stefano Rossi e Barbara Baffetti, la coppia-collaboratrice che lo accompagna. Con il gruppo del nostro Ufficio famiglia abbiamo dunque pensato di fare una visita alle unità pastorali, nei prossimi due anni. In questo momento, ci sembra che tutto ciò che provenga dalla Diocesi venga visto come un qualcosa di distante: per questo vorremmo conoscere da vicino le unità pastorali, i sacerdoti e coloro che in qualche maniera già si occupano della famiglia, ascoltarne i bisogni e vivere un momento insieme prendendo spunto, come ci dice il Vescovo, dalle quattro perseveranze espresse negli Atti 2,42. Sarà un’occasione per instaurare relazioni e dare seguito a quel desiderio di incontro che abbiamo visto già in alcune unità pastorali. A noi tocca creare comunione: come ci è stato confermato anche da padre Marco Vianelli, che ci ha chiesto di metterci in cammino perché siamo a servizio della Diocesi. Sarà un percorso lungo, ma sentiamo forte il bisogno di incontrarci. La parola d’ordine è: relazioni».

Andrea Antonuccio

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