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Il coronavirus blocca il calcio giocato

La testa e la pancia di Silvio Bolloli

Stop forzato: l’Italia nel pallone

Debbo dire che non avrei mai immaginato di scrivere due righe a proposito degli influssi di un’epidemia sullo sport, segnatamente sul calcio, non soltanto perché un evento del genere, a mia memoria, non era mai accaduto ma soprattutto perché lo stesso appare retaggio di epoche dimenticate, perlomeno in queste lande. E invece eccoci qui a commentare di partite rinviate a data da destinarsi e interi campionati (quelli minori) paralizzati per via dell’emergenza covid-19 e dell’altrettanto surreale prospettiva di poter vedere alcune partite di cartello (prima fra tutte quella tra Juventus e Inter in programma domenica prossima) a porte vuote. Giusto o sbagliato? Premettendo che non sono medico né scienziato, e che questa non è una pagina di giornalismo divulgativo, da quel poco che ho capito il coronavirus è un’influenza più forte delle altre, temibile perché non esiste ancora un vaccino ma, tutto sommato, con un tasso di mortalità molto basso.

Soluzioni eccessive dunque? La storia italiana, cioè il romanzo di un Paese che ama per principio le contraddizioni, insegna che forse non è così perché, se è ben vero che adesso in molti si scandalizzano rispetto all’entità e alla consistenza di misure che possono apparire francamente sproporzionate rispetto al nemico da combattere, dall’altro ben sappiamo che nella malaugurata ipotesi in cui qualcosa non dovesse funzionare o qualche contagiato dovesse sfuggire alle sempre più stringenti maglie dei controlli, qualcuno chiederebbe subito la testa di qualcun altro per non avere fatto a sufficienza il proprio lavoro. Ergo, ben vengano questi controlli anche se l’augurio è che la loro necessità possa cessare quanto prima. Nel frattempo, se devo dire quel che penso, voto per una partita a porte chiuse piuttosto che per una non partita perché, nel primo caso, e gli atleti avrebbero l’opportunità di sfidarsi sul campo dando il meglio di sé evitando un calendario compresso e congestionato con società e allenatori che, inevitabilmente, sarebbero pronti a sostenere di essere stati più o meno penalizzati. Il mio augurio è dunque che gli stadi del Nord Italia possano tornare quanto prima a riempirsi ma, nell’attesa, che quantomeno i giocatori riprendano a fare il loro mestiere, anche al cospetto di spalti vuoti.

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