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Alla scoperta del “duende”

“Collezionare per credere” di Mara Ferrari

A Oviedo, come tutti sanno, è venuto a mancare il poeta cileno Luis Sepúlveda (nella foto), stroncato da una lotta contro il coronavirus, aveva 70 anni. Il suo spirito, tuttavia, è sempre vigile e si risveglia non tanto nel talento e bravura dimostrate, ma nel “duende”. Il duende, parola che in Spagna significa mistero, è ciò che nell’arte, nella musica, nella poesia o danza ha suoni neri, cioè unici, oscuri, indefinibili. Passaggi poetici o sonori che tutti ascoltano con un brivido, ma che nessuno riesce a spiegare.

È il grigio e l’argento della pittura di Francisco Goya o del nostro pittore Giovanni Massolo, che nelle sue rappresentazioni è riuscito a cogliere appieno il senso di pathos. Nella sua Via Crucis e relative stazioni, infatti, si riassumono le sofferenze di tutta l’umanità, evocate dalle orribili ciminiere fumanti delle fabbriche cadenti. Nell’opera di Massolo, le stazioni diventano quindici, con l’introduzione della Resurrezione, rappresentata con uno scoppio di luce gioiosa, stupore e felicità per la Vita che ritorna, che riprende i colori forti dello sfondo, dalla presenza dell’oro, espressione di un messaggio non più drammatico, ma di speranza.

L’espressione e l’intenso linguaggio del volto di Cristo coinvolgono emotivamente lo spettatore e sulle tele sono presentì molti riferimenti al mondo odierno, con paesaggi industriali che spiccano sullo sfondo delle immagini sacre. Gasometri e altri emblematici oggetti del lavoro vengono accompagnati da sterpaglie, arbusti, scabre rocce presenti, per esempio, nell’undicesima stazione; allegoricamente rimandano a un paesaggio dell’anima.

La sofferenza è anche intesa come prova cui l’umanità si sottopone in vista di un premio da conseguire spiritualmente. Il duende dell’opera letteraria di Sepulveda “La Gabbianella e il Gatto”, della pittura del Massolo (giovannimassolo.it), scomparso nel 2005, è oggi un lasciarsi cadere nel vuoto, sopraffatti dalla vertigine, scivolando nella solitudine… Un po’ come, perdonatemi il parallelismo da teenager, il Taboga: lo scivolo adrenalinico, grande assente di quest’anno, degli epici “baracconi”.

Fede e speranza, tuttavia, garantiscono la scommessa, già vinta, di non voler lasciare l’ultima parola alla morte, ma alla preghiera e agli innumerevoli profili web in cui ritrovare gli affetti scomparsi.

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