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«Prof, mi sembra stranissimo che a scuola mi parlino di felicità»

La voce della scuola

«I nostri ragazzi oggi, novembre 2020, nel pieno della seconda ondata della pandemia, hanno bisogno di vedere noi adulti “sul pezzo”, in equilibrio e in grado di trasmettere a loro la speranza di un futuro migliore». Mariangela Mazza (in foto qui sotto), insegnante di religione al liceo scientifico Galileo Galilei di Alessandria, nonostante la didattica a distanza non si arrende al grigiore imperante nelle zone rosse e non rinuncia a mandare ai giovani un messaggio importante: c’è qualcosa per cui vale la pena vivere, sempre. «I miei ragazzi mi dicono che ho i piedi per terra ma lo sguardo rivolto in alto. “Prof, per lei la vita è fatta di fiorellini che scendono dal cielo!”: così mi descrivono! (ride)».

Mariangela, presentati ai nostri lettori che ancora non ti conoscono.
«Ho 52 anni e insegno da 20. All’università ho studiato giurisprudenza e ho lavorato per anni in uno studio legale. Ho iniziato a studiare all’Istituto di scienze religiose per passione personale: quando mi è stato chiesto di fare una supplenza, ho scoperto che insegnare mi piaceva moltissimo. Più passava il tempo più mi rendevo conto che dovevo cambiare lavoro: quando andavo a fare le ore di insegnamento a scuola, uscivo contenta e tornavo ancora più felice. È stata una scelta sofferta».

Come li vedi adesso i tuoi ragazzi?
«I miei studenti del quinto anno li vedo visibilmente preoccupati per la maturità, perché non sanno cosa gli si chiederà. I ragazzi di prima sono disorientati: hanno finito le medie a casa e ora avrebbero proprio bisogno di venire a scuola, acquisire un ritmo e stringere alleanze con i compagni. Le classi di mezzo? Hanno stati d’animo molto altalenanti. In generale sono nervosi e irrequieti. Questo nuovo modo di vivere la scuola, necessario per la sicurezza di tutti, sul piano relazionale è davvero molto difficile».

Hanno paura?
«Onestamente non li vedo molto spaventati: la ragione non è da ricercarsi in un loro particolare coraggio o in una totale inconsapevolezza del rischio, la realtà è che hanno paura di avere paura. Per difendersi da questo sentimento, cercano di minimizzare».

Parliamo di questa didattica a distanza: come fai a mantenere viva l’attenzione degli studenti, seduti immobili per ore davanti ad uno schermo?
«Ti faccio un esempio a partire da una lezione che ho visto che è molto piaciuta. In questo periodo c’è stata la beatificazione di Carlo Acutis. Come l’abbiamo affrontata? Ho presentato io la storia di questo ragazzo, poi insieme ai miei studenti abbiamo visto il video in cui don Alberto Ravegnani (lo “YouTuber di Dio”, ndr) racconta della sua gita ad Assisi con dei ragazzi dell’oratorio per la cerimonia. Loro hanno ascoltato tutto, si sono segnati una frase che li ha colpiti e l’hanno condivisa con gli altri. Ho capito che l’argomento li aveva “presi” perché finita la lezione hanno continuato a parlare. Una ragazza poi in privato mi ha scritto: “Mi sembra stranissimo che a scuola mi parlino di felicità”. Per me è stata una grande soddisfazione».

Ci sono altre lezioni o argomenti che li hanno coinvolti in modo particolare?
«Si certamente. Ne ricordo una in cui partendo dal concetto di miracolo siamo arrivati a parlare di Lourdes e alla storia di quel luogo che molti studenti ancora non conoscono. Io ho dato la mia testimonianza (ci sono andata per diversi anni con l’Oftal) e i ragazzi mi hanno proposto di vedere insieme un video dove Zac Efron (star americana, ndr) intervista il dottor Sandro De Franciscis, che lavora all’Ufficio delle constatazioni mediche situato nel Santuario stesso: lo stesso che avrebbero dovuto incontrare partecipando al viaggio che l’ufficio scuola aveva organizzato per gli Istituti Superiori, poi annullato a causa della pandemia».

Come utilizzi i social con loro?
«Questa generazione è molto a suo agio sui social e per loro videochiamarsi è la norma: farli “entrare” a casa mia attraverso lo schermo del Pc è stato bello. Cerco di usare questi strumenti assieme a loro, sfruttandone le potenzialità: i ragazzi sono stanchi di sentirsi dire come andrebbero usate queste piattaforme, le cose devono viverle per assimilarle davvero. Per questo assieme a loro ho creato un gruppo di whatsapp che funziona come “biblioteca virtuale”: mettiamo lì link, notizie e post dei social su questioni di attualità o che riguardino temi che a loro farebbe piacere affrontare a lezione. Ognuno manda il suo contributo, motivando con un audio perché vorrebbe che ne parlassimo. Per esempio lì mi hanno mandato il video di Muschio Selvaggio (un programma radio condotto dal rapper Fedez e la star del web Luis Sal, ndr) dove Fedez intervistava don Alberto Ravegnani. Grazie a loro imparo un sacco di cose: io non sono molto social, vivo in una casa in campagna in cui cerco di disintossicarmi dalla tecnologia, ma sono molto curiosa».

Genitori, non fatevi sopraffare

Mariangela, di che cosa hanno bisogno i ragazzi oggi secondo te?
«I ragazzi hanno bisogno di credere che non sia tutto nero. Che a questi momenti difficili, in particolare per loro, seguirà un periodo migliore e che questi mesi segneranno un prima e un dopo e ci insegneranno comunque qualcosa. Bisogna che gli adulti capiscano che già l’adolescenza è un periodo complicato: questa interazione così limitata in una età della vita in cui stringono le prime amicizie veramente importanti, per alcuni crea proprio delle problematiche. Ci sono dei ragazzi che hanno letteralmente sofferto di depressione durante il lockdown: anche non vedere i nonni è stato per alcuni un vero problema, una mancanza di punti di riferimento. Io cerco di essere credibile, di trasmettere un messaggio di speranza ma anche di viverlo. La preghiera mi aiuta molto in questo».

Che cosa possono fare i genitori?
«Ai genitori che stanno leggendo dico: fate un lavoro su voi stessi per non farvi sopraffare. La famiglia è comunque la roccia per questi ragazzi. Durante una lezione è emerso da tutti che il bisogno diffuso è quello di sentire che la loro famiglia è in grado di reggere a qualsiasi urto. Questo a loro dà sicuramente la forza di cui hanno bisogno per affrontare le difficoltà».

Come riuscire a farsi rispondere qualcosa in più di “bene” alla domanda “come va”?
«Parlare di cosa si è fatto o imparato oggi a scuola deve essere un’occasione di dialogo, non si deve entrare a gamba tesa: il registro elettronico dice tutto in tempo reale, le domande dovrebbero vertere più sugli stati d’animo che sui voti. Bisogna che loro percepiscano che sei lì per ascoltarli e che possono parlare finché ne hanno voglia. Potrebbe sembrare bizzarro, ma i ragazzi hanno bisogno di parlare, anche con i genitori: non bisogna lasciarli per troppo tempo in silenzio. Se no si intristiscono».

E con le tue figlie come fai?
«Sono fortunata perché a loro piace chiacchierare (ride). Ho sempre cercato di sostenerle nelle loro passioni, provo a farlo ancora adesso. La mia “piccola” ha 15 anni e le piace cantare, in questo periodo mi chiede “secondo te qual è la canzone più adatta alla mia voce?”. Con quella grande, che sta finendo l’università, ci dedichiamo alla cucina come esperienza artistica oltre che degustativa. Abbiniamo colori, sapori e anche fiori».

Speciale a cura di Zelia Pastore

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