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Deprimit elatos

“La testa e la pancia” di Silvio Bolloli

Queste due parole, tratte dal motto della nostra città, mi fanno ben pensare a quanto lo sport sia sovente veicolo di giustizia sociale e umana premiando inespressi talenti di periferia e divertendosi a mortificare chi pensa di saperla più lunga degli altri. Dovendo pensare ai primi, mi viene in mente l’epopea di Ronaldo (nella foto), bimbo povero in una favela di Rio de Janeiro la cui madre pregava quotidianamente il Signore di farle vincere la lotteria per risolvere una volta per tutte i loro problemi di indigenza. Ma Dio gliel’aveva già fatta vincere nell’attimo in cui la povera donna aveva messo al mondo il futuro fenomeno del calcio mondiale ma lei, da comune mortale, non era ancora consapevole.

Pensando, invece, ai superbi, il pensiero non può che correre al presuntuoso per eccellenza delle panchine: quel José Mourinho che, da allenatore dell’Inter, insultava gli avversari (il mite Claudio Ranieri ne fu fulgido esempio) spingendosi ad affermare: “Il calcio sono io“. Da allora, pur avendo seduto sulle panchine più ricche del pianeta (vedasi Real Madrid, Chelsea e Manchester United), il nostro non ha vinto quasi più nulla collezionando diverse annate da “Zeru tituli” e, onta delle onte, assistendo spesso a migliori risultati ottenuti dai suoi successori sulle medesime panche: uno su tutti il buon Carletto Ancelotti che l’anno dopo l’addio del portoghese, andò a vincere la Champions League con il “suo” Real Madrid.

Oggi che siede sulla più modesta panchina della Roma, l’uomo di Setubal sembra aver smarrito quel tocco magico che lo aveva fatto appellare “Special One” e forse anche la capacità di parlare alla testa dei suoi uomini. Ed allora, ecco che anche nello sport ritorna l’evangelica lezione: è l’umile che trionfa, non il superbo.

Guarda anche la seconda puntata di Venticinquesimo minuto con ospite Federico Casarini (clicca qui)

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