Emergenza guerra in Ucraina
Nella nostra Diocesi sono partiti i preparativi per un segno di accoglienza verso i profughi ucraini che stanno arrivando sul nostro territorio per sfuggire alla guerra nel loro Paese. A parlarcene sono Giampaolo Mortara, direttore della Caritas diocesana, e Michele Menichino, direttore dell’istituto per il sostentamento del clero. A loro chiediamo che cosa sta accadendo, ricordando che la Caritas alessandrina continua a raccogliere offerte per l’accoglienza: è possibile fare un versamento con Iban IT 08 W050 3410 4080 0000 0000 797 (Banca Bpm), intestato a Diocesi di Alessandria – Servizio Caritas, con causale Europa/Ucraina.
Giampaolo, che succede?
«La nostra Chiesa locale non è rimasta ferma di fronte al dramma del popolo ucraino, e sta cercando di dare una risposta concreta. In primo luogo, allestendo quattro alloggi da destinare a famiglie che sono arrivate qui da noi fuggendo dalla guerra».
Dove sono, e come sono fatti, questi alloggi?
«Gli alloggi si trovano a Bassignana, e sono stati messi a disposizione dall’istituto per il sostentamento del clero, che si è occupato anche di sistemare gli appartamenti, che necessitavano di manutenzione ordinaria».
Michele, adesso raccontaci tu…
«L’istituto per il sostentamento del clero ha voluto rispondere alla richiesta giunta dalla Caritas diocesana di locali da adibire a una prima accoglienza. A Bassignana abbiamo quattro alloggi, al momento sfitti, di nostra proprietà. Il presidente dell’istituto, don Gian Paolo Orsini, ben volentieri ha voluto concederli, e il lavoro più impegnativo è stato quello di risistemarli: serviva l’imbiancatura, la pulizia generale, l’arredamento e tutti i beni di uso quotidiano. La risposta della comunità di Bassignana, guidata da don Dariusz Gudajczyk e dal sindaco del paese, Eleonora Vischi, è stata commovente: in tanti hanno dato la loro disponibilità di tempo, di lavoro e, devo dire, anche economica. A loro deve andare il nostro ringraziamento, così come alle Caritas parrocchiali del centro di Alessandria, e alla cooperativa “Coompany &”, che ha offerto gratuitamente il suo personale per questi lavori nelle case».
Giampaolo, chi arriverà, o è già arrivato?
«Nei prossimi giorni arriveranno alcune famiglie ucraine. Negli alloggi appena sistemati ci sono 20 posti letto, che occuperemo interamente. Con delle accortezze…».
Quali accortezze?
«La prima è che non divideremo i nuclei familiari, né li accorperemo. La seconda, ed è la sfida più importante, richiederà l’aiuto della comunità: l’accompagnamento delle famiglie nel loro percorso di accoglienza. Un’accoglienza che al momento non sappiamo quanto durerà…».
Michele, come si può affrontare la sfida dell’accoglienza?
«Stiamo cercando di mettere insieme un gruppo di persone che si occuperà di stare vicino ai rifugiati nelle necessità quotidiane. Per esempio, abbiamo due signore ucraine che si sono offerte per fare da interpreti e agevolare l’inserimento nel contesto locale: dalla scuola per i bambini al medico, dalla spesa al tempo libero. Le Caritas delle parrocchie del centro città si sono fatte carico di rifornire gli alloggi, e quindi i profughi che arriveranno, di beni di prima necessità, come gli alimenti e l’igiene personale. E si sono impegnate a farlo periodicamente per tutto il tempo che sarà necessario».
Giampaolo, tu che dici?
«Ci rendiamo conto del fatto che per una comunità locale un’accoglienza di questo genere è un impegno che va oltre le classiche raccolte che lanciamo periodicamente. Qui si tratta di mettersi in gioco di persona, di incontrare dei volti, di creare relazioni. Ed è già una cosa difficile da attuare con quelli che conosciamo: figuriamoci con estranei, che oltretutto vengono da percorsi e traumi di guerra. Ma vedi, questo è un segno importante che la nostra Chiesa dà: sarebbe bello riuscire a replicare la stessa dinamica in altre realtà… penso per esempio alle nuove Unità pastorali che si stanno formando in questo periodo nella nostra Diocesi: oggi abbiamo l’occasione di approfondire il filone pastorale della Carità».
Cosa possiamo imparare da quello che sta succedendo?
«Il dramma che stiamo vivendo non è solo un dramma: può diventare l’occasione di essere propositivi e creativi nell’aiuto al prossimo, e a capire che cos’è davvero la vita. Se guardiamo la realtà solo con occhi lacrimosi e tristi, ci perdiamo lo sguardo migliore. Il Papa invece ha chiesto diverse volte, e non solo a noi di Caritas, di sviluppare una creatività nuova. Questa è l’occasione per capire che la carità non è solo dare il vestito che non riusciamo più a indossare, e che dunque non ci serve; la carità è donare se stessi».
Domanda “cattiva”: se questi profughi venissero, che ne so, dall’Afghanistan, noi li accoglieremmo così?
«Risposta “cattiva”: no. L’Ucraina è in Europa, la sentiamo vicina, anche culturalmente. Ma i profughi di altri Paesi, che scappano dalla guerra ma che percepiamo come “lontani” da noi, facciamo fatica a considerarli nostri fratelli. L’esperienza di questi anni ce lo ha insegnato. Speriamo che la situazione attuale ci insegni ad allargare i nostri orizzonti».
Andrea Antonuccio
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