Intervista a don Santiago Ortiz, nuovo parroco di Valenza
Ci risponde al telefono, mentre è indaffarato con i Centri estivi. Santiago Ortiz (nella foto), 31 anni, è stato nominato parroco delle cinque parrocchie valenzane (Duomo, Madonnina, Sacro Cuore, Sant’Antonio e Monte Valenza). «Sono a Valenza praticamente da sei anni: ho iniziato da seminarista, ho continuato da diacono e dal 2020 ho proseguito come sacerdote, in qualità di vicario parrocchiale» comincia a raccontare il sacerdote, dopo aver terminato una riunione con i suoi animatori.
Don Santiago, sarai il sacerdote delle parrocchie valenzane. Un incarico importante… non ti spaventa?
«Da una parte non mi spaventa perché so che questo non l’ho voluto e cercato io, ma è la volontà del Signore. Che certe volte accetti volentieri, e altre con maggior difficoltà, perché i tuoi piani sarebbero altri. Allora, quando è così, è obbedienza vera, libera e sincera. Dico questo perché per sei anni ho chiesto il trasferimento (sorride). Non ho paura, perché quando obbedisco al Vescovo sto adempiendo alla mia promessa da sacerdote e sto continuando il progetto di Dio ricordandomi sempre che non sarà per gloria mia, ma Sua. Ho pregato così: “Signore, so che tu mi vuoi a Valenza. Io dico di sì, però adesso mi aiuti a pedalare!”. Ho paura invece dal punto di vista umano, perché sono giovane. Sono andato da don Bosco e gli ho chiesto di darmi una mano, di darmi tanta pazienza e la capacità non tanto di essere un “bravo” sacerdote quanto un “buon” sacerdote. Anche un buon sacerdote è chiamato a grandi responsabilità che portano a scelte che non sempre accontentano tutti. Mi servono coraggio e pazienza per affrontare questi timori. Dal punto di vista organizzativo sono contento, perché conosco l’ambiente. Per esempio conosco a memoria quasi tutti i nomi dei 300 ragazzi che ho al Centro estivo, conosco le loro famiglie e questo mi rasserena tanto. È un bell’impegno, certo. Ma è anche una bella sfida».
Come cambia la tua vocazione?
«Innanzitutto sento la responsabilità delle persone che mi sono affidate: il parroco è il pastore delle anime. Dal punto di vista vocazionale, in questo passaggio, mi sento di essere di tutti, per tutti e con tutti. Nel bene e nei momenti di difficoltà, mettendo in conto di non essere simpatico a tutti. In questi anni ho guardato la mia umanità e mi sono sentito fratello tra i fratelli. Ma, in questo momento, divento padre di tutti. Da fratello a papà, pur rimanendo fratello. Infine mi spaventano i miei difetti che, al posto di nascondersi, verranno ampliati. Ritardi, omelie lunghe, la mia testardaggine… e poi sono sudamericano: questo ricordalo sempre (sorride)».
Hai imparato a conoscere Valenza: quale urgenza vedi?
«Credo che Valenza sia una città ben impostata dal punto di vista economico, organizzativo e sociale. Ci sono un senso del dovere, del lavoro, dell’aiuto sociale e umano molto marcati, sia nella società civile sia in quella religiosa. Penso ai gruppi di volontariato, alla San Vincenzo, all’aiuto mensile della gente comune ai poveri. Ma c’è una cosa che mi spaventa e che ho sempre evidenziato: per troppi anni siamo stati dietro al “fare” e poco al “pregare”, cioè all’essere. I miei parrocchiani cosa devono aspettarsi da me? Non si aspettino un parroco intelligente, laureato, con il dono della retorica, non si aspettino un grande intenditore di arte, un grande economo o un manager. Io però spero di portare la mia fede e il mio amore per Gesù. Da me si potranno aspettare confessioni, benedizioni e celebrazioni della Messa. Dico questo, anche se mi rendo conto che sia una frase un po’ forte: a Valenza c’è tutto ma è come se mancasse Dio. O meglio, Dio è quasi superfluo e, invece, deve diventare la prima cosa. Aiutando e incontrando il fratello, è vero, si incontra Dio, però spesso siamo stati dietro al fratello senza arrivare a Dio. Il Suo Regno lo raggiungiamo nella vita eterna ma si inizia a costruire da qui. La presenza di Dio deve essere carnale, non solo posata su un comodino o usata per pulirsi la coscienza. Non deve essere solo filantropia ma relazione viva con Dio che passa ed è presente nei Sacramenti, nell’Eucaristia e nella Parola. Tutti conoscono le difficoltà ma bisogna accentrare la bussola su Dio che deve essere cardine della nostra vita».
Parliamo dei Centri estivi. Come stanno andando?
«Ero molto dubbioso perché, fino a poco tempo fa, ero convinto di andare via da Valenza. Non avendolo pubblicizzato pensavo sarebbe stato molto tranquillo e invece ho avuto una grande risposta dalla gente: questa settimana abbiamo 160 bambini. Senza pubblicità nelle scuole e senza fare il corso animatori abbiamo coinvolto 114 ragazzi dalla seconda media alla terza superiore. Questa è stata la risposta, come se il Signore mi avesse detto: “È questa la tua vigna e qui devi stare”. Il mio rifugio è sapere che ci sono questi ragazzi. È vero, fuori ce ne sono tanti altri, e vanno aiutati, ma partiamo da quelli che ci sono. C’è un’urgenza sociale nei giovani: vedo crescere l’aumento di utilizzo di fumo, droga e alcol, di casi di bullismo e le difficoltà nelle famiglie e nelle relazioni. Ma tornando ai Centri estivi, inaspettatamente stanno andando bene. Devo ringraziare le famiglie perché si fidano della Chiesa e, al giorno d’oggi, non è una cosa scontata. Ma tutto questo sarebbe stato impossibile senza l’aiuto del gruppo animatori, che abbiamo costruito in questi cinque anni. Se ho accettato questo incarico l’ho fatto anche per loro e per le loro famiglie».
Un messaggio ai tuoi parrocchiani.
«Per prima cosa, ammetto di non essere il migliore sul mercato (sorride). Chiedo ai miei parrocchiani di aiutarmi a essere paziente e soprattutto di perdonarmi laddove, per mia umana fragilità, sbaglierò. Cosa posso offrire? La mia fede, il mio amore per Gesù e per la Chiesa e anche la mia obbedienza al Vescovo, che mi costa tantissimo. Ultima cosa… io sono solo una guida ma il Pastore vero è Gesù: affidiamoci a Lui. Perché, come diceva don Bosco, se Dio è con noi, siamo la maggioranza».
Alessandro Venticinque
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